Suggestioni del Far West cinematografico

Suggestioni del Far West cinematografico

Il massimo partenopeo ospita un nuovo allestimento della creazione ‘americana’ di Puccini realizzato in coproduzione con l’Asociación Bilbaina de Amigos de la Ópera

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Nostalgia e sentimento

Il West secondo (Belasco e) Puccini non è una terra promessa che offre occasioni e dispensa fortune, ma una landa selvaggia dominata dalla violenza e dalla prepotenza. In un contesto così ostile e precario, la tinta dominante sembra essere la nostalgia: è il sentimento struggente delle origini, infatti, a dare spessore e profondità ai numerosi personaggi, schiera malconcia di diseredati sempre pronti alla sopraffazione e alla rissa eppure in fondo solidali nell’attraversare la durezza della quotidianità e nel fronteggiare l’enigma del futuro.

Minnie è la benefica sovrana di questa corte di derelitti, nella quale insinua barlumi tenaci di civiltà con la forza della sua dolcezza. Vergine ma non immacolata, capace anch’ella di barare (ma solo per amore), la fanciulla è icona del sentimento che ingentilisce, dell’amore che vince la forza bruta, della passione che rompe le catene del destino: un’icona sporcata dalla polvere, macchiata dal whisky, perforata dalle pallottole che spesso attraversano il pentagramma, ma pur sempre un’icona, e perciò portatrice di un significato universale che trascende l’individualità, fortemente caratterizzata, del singolo personaggio.

Per disegnare questo complesso di motivi atipici e ostici, per varcare questa ‘nuova frontiera’ della comunicazione musicale, Puccini mette in campo risorse preziose e rare in termini sia drammaturgici che vocali e riserva una cura speciale all’orchestrazione. Gli interpreti sono dunque chiamati a una prova non facile, da giocare tutta sull’impervio crinale che separa la couleur locale dal kitsch, l’espressione del sentimento dalla deriva sentimentalistica, la caratterizzazione dall’eccesso macchiettistico.

Gli artisti impegnati nella messinscena sancarliana superano brillantemente la prova, a partire dall’ottimo Juraj Valčuha che dal podio governa con decisione e, al contempo, con grande sensibilità il flusso cangiante della partitura. Assai valenti i protagonisti del secondo cast: Rebeka Lokar trova gli accenti giusti per rappresentare sia la tenerezza, sia la determinazione di Minnie; Marco Berti, che forse eccede talvolta nello sfoggio di potenza, conferisce il giusto rilievo a Dick Johnson. Spicca per il colore scuro e per la presenza scenica il Jack Rance di Claudio Sgura.

Tra saloon e praterie

Per la rappresentazione della California della ‘corsa all’oro’, Hugo De Ana, che firma regia, scene e costumi, opta per un approccio ‘cinematografico’. La scelta, che potrebbe apparire scontata, è in realtà coraggiosa, in quanto affronta di petto, anziché aggirarli, i rischi connessi con le tante incrostazioni visive e semantiche sedimentate nella memoria dello spettatore in virtù della frequentazione del genere western. I simboli di quel filone ci sono tutti, ma ripensati e trasfigurati. Il saloon con tavoli e bancone è sghembo e aperto su un paesaggio sconfinato, come a rappresentare un ricovero instabile che non garantisce del tutto la difesa dai pericoli esterni.

Lo stesso vale per la ‘capanna’ di Minnie, un fantasma di casa punteggiato di caldi bagliori ma esposto alle minacce della tormenta e della caccia all’uomo. Alla fine l’atmosfera complessivamente cupa cede il passo a un orizzonte rasserenato e quasi radioso, esito felicemente ribaltato delle arsure mortali toccate a Manon e Des Grieux.
Il pubblico, più vario del solito, si lascia rapire dalla magia della favola, partecipa con attenzione e applaude con entusiasmo.