Fanculo Pensiero - Stanza 510

Fanculo Pensiero - Stanza 510

Entrare in una stanza di albergo, la 510, e non capire.
“Cosa devo fare?” Mi sono chiesto nei primi passi caotici di questa Pièce teatrale, leggendo nello sguardo dell’attore la confusione folle che tutti abbiamo nella mente quando ci si inceppa tra quattro mura che alziamo noi stessi a volte con assurda e micidiale maestria.
Vedere stasera un esaurito che non sa cosa fare della sua vita? Me ne stavo a casa era meglio!
Cosa fare? Andare via? Perché sono qui?
Chiamare qualcuno che può essere un portiere d’albergo o un amico sordo o una mamma che non può fare nulla perché e tutto ingarbugliato dentro. Ma Io e quel matto dopo qualche minuto siamo diventati uno. Lui un personaggio, un uomo, un attore io dall’altra parte un semplice spettatore che entra in quel quadrato, nella sua confusione e diviene protagonista.
Restare o andare via? Cosa voglio adesso?
Intanto che me lo chiedevo mi lavavo i piedi come faceva lui e vedevo quell’acqua a terra, la stessa che vedo ogni giorno quando mi lavo il viso e mi chiedo: “ io cosa voglio?”.
Immergevo la testa con lui in un grande secchio in quell’acqua che sembrava più reale della realtà. Cercavo di soffocarmi con quella spugna di piquè bianca con la quale si stringeva il collo per morire e vincere o far tacere la sua disperazione. Mi guardavo dentro e poi fuori intorno a me, cercavo sguardi tra i presenti che come me si guardavano inevitabilmente dentro e qualcuno fissava quell’uomo come si guarda un pazzo allo specchio che forse non ne uscirà più da quella stanza, dalla sua follia.
Io cosa voglio? Io cosa voglio?
Da un microfono in fondo alla scena la voce di dentro che passava da un pensiero all’altro agitandosi, dimenandosi, correndo verso la soluzione sopra sottofondi musicali prima forti e poi pacati come onde sulla roccia dura delle cose.
La soluzione è lì nella frase banale che ci domandiamo sempre ma mai a fondo: “Io cosa voglio?”
“Voglio restare qui a guardare questo spettacolo fino in fondo”. Questo mi sono detto, ed ho fatto bene, perché la chiave è proprio questa: Non andare via da i propri pensieri fino a quando non si è fatta chiarezza.
Alla fine dello spettacolo il quadrato si chiude e l’attore va via lasciandoti fuori.
Se mandiamo a quel paese certi pensieri storti dalla nostra stanza una finestra, una porta per uscire c’è e la nostra vita, quella che ci appartiene davvero, è lì…
Ed è come acqua: complessa ma trasparente e limpida come il pensiero che ti lascia dentro.