FARSA MADRI - AMLèT TU SùIT

Amleto-perso nel XXI secolo, ritrovato nel Gargano

Amleto-perso nel XXI secolo, ritrovato nel Gargano

"Gertrude, guarda Amleto, fa finta di piangere!"
Salutiamo con le sue prime parole, questo ritorno di Alfonso Santagata a Napoli dopo cinque anni, e dopo che il suo ingegno inquieto ne ha spesi tanti altri in un teatro di ricerca grazie al quale oggi si ripropone con questo piccolo gioiello, Farsa madri - Amlèt tu sùit.
Santagata rilegge alcuni elementi dell'Amleto, mettendoci di fronte a Claudio e Gertrude (una Rossana Gay correttamente eccessiva), due individui moderni e psichicamente disturbati che credendo di essere la madre e lo zio di Amleto, hanno anche ucciso il marito di lei nonché padre di lui, investendolo con un'automobile.
L'idea parte da un paradosso, laddove un fatto riscontrato nella cronaca nera rispondeva con strana precisione alla vicenda di Amleto, facendo così traslare la narrazione scespiriana sulle maschere urbane di oggi attraverso la farsa, e con un paradosso che tocca la realtà attraverso la macchinazione dell'eccessività, con quel senso del teatro immediato che è timbro proprio dell'attore-regista pugliese, cui forse si sarebbe potuto solo chiedere una dose ancora maggiore di quella cupa comicità che rappresentava uno stilema preciso ed originale.
Amleto (Tommaso Garganti) si aggira con la bara del padre, diademata con un'icona di un San Pio anch'essa evocatrice di un certo Gargano, perchè non vuole sotterrarlo ma tenerlo con sé, e la sua apparizione è costantemente accompagnata dalla bella ed efficace idea di una doppia voce maschile e femminile, insieme, a sovrapporsi, che simbolicamente determinano l'essenza stessa della sua storica ambiguità.
Non siamo di fronte ad una operazione drammaturgica su Shakespeare, quanto ad un prestito narrativo in quanto adattato alla realtà, sul cui piano scendiamo volentieri e ne accettiamo la provocazione, rilanciandola e pensando con grande intensità a cosa ne sarebbe di quella che potrebbe essere la più grande storia narrata della letteratura, se fosse vissuta oggi nel Gargano, dentro qualche miseria e squallore del nostro tempo, e senza l'aura mitica e storica che appartiene all'originale.
Allora la domanda è: se al posto di una imponente sala affrescata del castello di Helsingør, lo stesso misfatto si consumasse in un cesso squallido non lontano dal golfo di Manfredonia, con personaggi che si chiamano egualmente Gertrude e Claudio, cosa cambierebbe?
Posta anche la differenza nel particolare per cui qui anche Gertrude è complice, correa di tanto crimine, i due sembrano allora riprodurre una di quelle situazioni da noir di provincia che oggi vengono purtroppo sovraeeposte ossessivamente nelle cronache da "intrattenimento nero" che pescano troppo facilmente nei più o meno desolati e disadorni interni di famiglia-qualunque.
Nella scena, in evidenza restano sempre elementi essenziali che lasciano l'ambiente giustamente privo di purezza, e con trovate fra cui spicca una luna suggestiva che alterna due colori, il rosso ed il verde, la quale calandosi nei suoi colori originali ispira una pagina poetica come quella che Santagata regala al pubblico, con un gioco a metà fra l'incanto e la follia: ”...allungo la mano per prenderla finchè mi accorgo che si tratta della luna mancante, da far rotolare e cadere, poi l'ho presa e rispedita a casa sua, ho aspettato dodici giorni e sei ore precise, ho allungato la mano quando la luna era perfetta, precisa e bella, piena, l'ho portata giù per farla rotolare, ma questa cadeva e si accartocciava, finchè dopo un po' sento tantissime, tantissime persone che cominciano ad accusarmi -la luna l'ha uccisa lui, la luna l'ha uccisa lui!- ed allora io me ne sono scappato a casa con la luna, l'ho messa sotto al cuscino, e poi il cuscino diventava caldo, i miei pensieri cominciavano a litigare, mi sono alzato e la luna è uscita da sotto al cuscino, ha preso la finestra, è uscita ed è tornata a casa sua, perfetta e bella..."

Visto il 21-10-2010
al Galleria Toledo di Napoli (NA)