Per i concerti dell’Accademia di S. Cecilia sono state proposte due visioni del mito di Faust, quella di Matteo D’Amico Veni, veni Mephistophilis (prima assoluta commissionata dall’Accademia), ispirata all’opera teatrale Doctor Faustus del drammaturgo inglese Christopher Marlowe (1564 – 1593), e quella di Liszt direttamente legata romanzo di Goethe.
La propensione di D’Amico verso il teatro emerge immediatamente, si capisce che ama raccontare. I temi del mito vengono proposti in maniera quasi didascalica: Faust (tenore) viene introdotto da un dolente violino, la sua invocazione al demone è inizialmente incerta, poi più decisa. Le percussioni e i fiati sottolineano la scelta sciagurata. Gli angeli che si contendono la sua anima sono rappresentati da due cori femminili, l’angelo buono dai soprani e quello cattivo dalle voci più scure dei mezzosoprani e dei contralti, i cui interventi sono sottolineati rispettivamente dalle trombe e dai cupi fagotti. Il testo (tradotto dallo stesso D’Amico) viene proiettato sopra l’orchestra in una sala opportunamente oscurata. L’ascoltatore osserva distaccato e impotente la caduta di Faust verso il baratro infernale con il compiacimento dell’Angelo Cattivo: “Chi ama il piacere, per il piacere morirà”. Il finale senza speranza, “Spezzato è il ramo che poteva crescere ben dritto”, caratterizza l’opera ed è evidenziato dall’ultimo coro, che con una mesta estrema fuga, descrive il vortice dell’abisso.
La seconda parte della serata è dedicata ad un monumento della scrittura orchestrale, la Faust-Simphonie di Liszt. Si tratta di una partitura smisurata, classificabile come poema sinfonico; la partizione in quattro movimenti, diversamente da quanto normalmente avviene nelle sinfonie dell’epoca, serve a delineare il carattere dei personaggi, Faust, Margherita e Mefistofele, isso, issa e o’ malamente, quest’ultimo è però più interessato a isso contrariamente a ciò che sempre avviene nella commedia dell’arte. Faust è descritto da più temi a sottolinearne la complessità psicologica, Margherita è efficacemente espressa nel suo Andante da una dolce melodia dell’oboe mentre per Mefistofe Liszt organizza un ambiente narrativo molto descrittivo, sembra che l’Inferno sia popolato da diavoletti dispettosi. Il quarto tempo vede l’intervento del tenore e del coro maschile, inizialmente il riferimento è beethoveniano, ma presto l’invenzione musicale trasfigura in quello che sarà l’universo wagneriano che per questo Faust, diversamente da quello di Matteo D’Amico, promette una possibilità di redenzione. La musica è sovrabbondante, insieme a straordinarie invenzioni troviamo talvolta episodi meno felici in cui l’ispirazione è meno convincente.
Antonio Pappano, beniamino del pubblico romano, dopo una apprezzata introduzione al concerto effettuata anche con esempi musicali, ha diretto con passione ed efficacia una orchestra precisa e duttile accompagnata dall’azione emozionante dei cori e del tenore Gregory Kunde.
Molti cordiali applausi, soprattutto a Matteo D’Amico, presente al concerto.