Gli interpreti, il regista ed il direttore sono gli stessi di un anno fa, quando dopo lunghi mesi d'astinenza a causa del Covid 19, il Faust di Gounod riaprì il Teatro La Fenice. In una platea svuotata, con pochissimi elementi, e di fronte ad un pubblico dimezzato ospite dei palchi. Un allestimento francescano, di cui abbiamo riferito all'epoca, dettato dalle contingenze particolari.
Ma ora, in una sala oramai 'normale', Joan Anton Rechi imposta uno spettacolo inedito, ben sviluppato sulle scenografie di Sebastian Ellrich. Al centro, una grande impalcatura metallica rotante, a più piani, che ospita un set cinematografico, illuminato dalle luci di Alberto Rodriguez Vega.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Tanti e continui i richiami al mondo del cinema, e non solo nei lussureggianti costumi di Gabriela Salaverri: l'ispirazione viene dal mondo di Fellini – ed ecco sullo sfondo un enorme manifesto di Giulietta degli spiriti in versione francese – ma sopra tutto dal cinema tout court. Mondo fantastico, fra magie, seduzioni, sogni ed illusioni. All'inizio ecco un Faust malamente invecchiato - come la Norma Desmond di Viale del tramonto - che rivede un suo vecchio film; allorché Valentin parte per il fronte, Méphistophélès si trasforma nel regista di una pellicola di guerra, le divise dei soldati a richiamare Orizzonti di gloria.
Marguerite è una sartina al servizio della produzione, la sua stanza un camerino; il giardino è sostituito dalle vermiglie labbra di Patricia Quinn in The Rocky Horror Picture Show. E nella notte di Valpurga Faust è blandito da figure femminili che rievocano altre celebri pellicole: la bondgirl d'oro di 007 Missione Goldfinger, la Principessa Leila di Star Wars, la Beatrix di Kill Bill, la Sally di Cabaret. Méphistophélès stesso en travesti cita l'ammaliante Lola de L'angelo azzurro.
Drammaturgia e musica a braccetto
L'impianto registico del regista andorrano fila senza sbandamenti, e regge sino in fondo perché sostenuto da una drammaturgia dalle solide basi, da idee chiare ed intelligenti, massima cura della recitazione, un ritmo drammatico incalzante. Senza contare che sotto d'essa scorre un fluire musicale intenso, molto mélo ma anche molto leggero, con tocchi sapienti e varietà di sfumature: quello che Frédéric Chaslin ottiene con scrupolosa perizia e per la consuetudine con siffatto repertorio.
Ed anche grazie ad un'orchestra al top delle sue possibilità, e ad un coro, adeguatamente preparato da Alfonso Caiani, di morbidezza e precisione ammirevoli. Una concertazione d'un livello nettamente superiore a quella che il maestro parigino - in condizioni invero precarie, va detto - aveva proposto un anno fa.
Tre protagonisti di vaglia
Ivan Ayon Rivas offre nuovamente una prova complessivamente positiva: il suo Faust mette in campo un timbro accattivante, una linea musicale spavalda, fluida e setosa, ed un registro medio corposo e lucente, padroneggiando come si deve tutto il registro acuto: lo si sente anche nelle amplissime arcate melodiche di «Salut demeure chaste et pure», adeguatamente cesellate. Unico limite, il suo Faust appare in sé poco scavato, poco eloquente; qualche gradazione psicologica in più gioverebbe assai.
Sfugge un po' a Carmela Remigio, nella sua Marguerite, la grazia tra ingenuità e coquetterie dell'impegnativo quadro che da «Il était un roi de Thulé» sfocia nell'Aria dei gioielli; ma passo dopo passo il personaggio prende il volo: è fascinoso nella scena del giardino, per raggiungere notevole valenza negli episodi più marcatamente lirici – la chiesa ed il carcere - resi con sostanziosa espressività e pienezza di mezzi vocali.
Il vero protagonista dei quest'opera si rivela però, ancora una volta, Alex Esposito. Il suo è un Méphistophélès impressionante tanto per la capacità attoriale, quanto per le magniloquenti risorse vocali: emissione granitica, scioltezza di fraseggio, rilievo al testo, ricchezza di accenti.
Il timbro tendente al chiaro chiaro, da basso-baritono, rientra nell'alveo di un'antica consuetudine interpretativa (tale era J.B. Faure, Méphistophélès all'Opéra nel 1869) e non spiace affatto, specie perché consono ad un personaggio che la regia vede come una via di mezzo fra un ironico ciarlatano ed uno sprezzante mezzano, piuttosto che un spirito maligno da grand-guignol.
Quattro parti di contorno
D'altro canto, timbricamente abbastanza leggero sarebbe pure il Valentin di Armando Noguera, caratteristico baryton-martin di scuola francese. Argentino di nascita, naturalizzato francese, è un'interprete vocalmente non memorabile, ma perlomeno convincente nella recitazione. Paola Gardina rende benissimo, in voce e nella persona, tutta la freschezza e l'impaccio adolescenziale di Siébel. La sfacciataggine vedovile di Marthe trova in Julie Mellor buona realizzazione; persuasivo pure il Wagner di William Corrò.