All’Opera di Firenze si sta assistendo a un rinnovato interesse per il repertorio francese e, dopo Les pêcheurs de perles di Bizet andati in scena lo scorso febbraio, è la volta del Faust di Charles Gounod, assente da oltre trent’anni a Firenze e ora proposto nell’ormai storico allestimento di David Mc Vicar per il Covent Garden in coproduzione coi teatri di Lille, Montecarlo e Trieste. La produzione, creata nel 2004 (spettacolo da noi più volte recensito dall’estero ma, dopo le recite triestine, mai più rappresentato in Italia), si conferma a distanza di tempo uno dei migliori allestimenti possibili del capolavoro di Gounod: spettacolare e ironico, classico nel senso che riesce a restituire tutte le caratteristiche e convenzioni della tragédie –lyrique ma moderno per la capacità di entusiasmare il pubblico di oggi come fosse un musical di Lloyd Weber.
Il Faust di Gounod non ha la stessa portata filosofica e metafisica di quello di Goethe: il mito viene semplificato e reso prodotto culturale di “consumo” conforme al gusto del tempo e proprio per questo McVicar imposta la propria regia a partire dal pubblico a cui tale opera era destinata e traspone la vicenda dalla Germania medievale alla Parigi del Secondo Impero, di cui restituisce con immediatezza l’atmosfera borghese edonista e pruriginosa ma anche il nazionalismo e il cattolicesimo reazionario. Il regista adotta l’espediente del “teatro nel teatro”, di cui sfrutta con intelligenza i vari livelli narrativi in una rappresentazione in cui si confondono realtà e immaginazione. Il teatro è l’impero di Mefistofele, impresario illusionista e satanico che si materializza avvolto in una rossa nuvola di fumo dalla buca del suggeritore per dare vita ai sogni repressi del vecchio Faust trasformato sotto i nostri occhi in aitante giovane con l’aiuto di un camerino da trucco itinerante ricavato in un baule. Teatro e realtà, sacro e profano, si ritrovano nella suggestiva scena di Charles Edwards dove uno spaccato di un teatro d’opera si contrappone ad architetture ecclesiastiche con reminiscenze gotiche o al catafalco con crocifisso che galleggia sul palcoscenico nero come una zattera alla deriva. La Parigi di fine ‘800 è riconoscibile con pochi ma sempre efficaci tratti nell’impianto scenico (con citazioni della Tour Eiffel e dell’Opéra Garnier), nei costumi di Brigitte Reiffenstuel come pure nelle coreografie di Michael Keegan–Dolan (riprese da Rachel Poirier) che attingono all’immaginario musicale del tempo: dalle operette di Offenbach, al can-can sguaiato da cabaret, fino al balletto classico. Ma non mancano i riferimenti a una città più popolare con edifici dagli intonaci screpolati visti dal retro, interni piccolo-borghesi intraviste dalle finestre e soldati reduci che ritornano a casa dopo la disfatta franco prussiana.
Secondo il suo stile il regista introduce elementi di trasgressione circondando Mefistofele di figure demoniache e lascive (prostitute, acrobati e ballerini seminudi) che ne amplificano l’ambiguità. Lo spettacolo trova la sua apoteosi nella scena della Notte di Walpurgis, autentico shock teatrale, introdotta dalla vista di una sala da teatro proiettata nel buio. Coni di luce e fumo svelano bellezze cortigiane con Mefistofele “drag queen“, travestito da donna, ingioiellato e scollacciato, che guida il baccanale a colpi di ventaglio. Faust assiste, dopo essersi iniettato della droga, allo spettacolo, un balletto classico (buona intuizione di Mc Vicar che, grazie al secondo piano narrativo, rende coerente l’inserimento del balletto) che diventa una parodia feroce del balletto romantico (con una prima ballerina incinta sbeffeggiata e dolorante come Margherita) per poi degenerare in un’orgia collettiva con il pubblico maschile che scende dai palchi per gettarsi sulle ballerine. Dopo la scena della prigione appare alla fine in un palco una figura enigmatica con tuba e ali nere: angelo o demone? O piuttosto lo stesso Gounod che sancisce, oltre la salvezza di Margherita, la fine dell’opera? La regia, anche nella ripresa di Bruno Ravella, non mostra segni di stanchezza, i movimenti coreografici sono spettacolari ed eccessivi come si conviene al genere del grand-opéra, ma precisi e analitici e nulla è di troppo.
Perfetta per continuità dinamica la direzione di Juraj Valcuha che riesce a rendere la partitura stilisticamente eterogenea di unitaria fluidità e morbidezza. I ritmi sono perfetti, ma anche colori e spessori orchestrali, morbidi e sensuali (e quindi molto francesi), ma mai eccessivi. La direzione duttile consegue il difficile equilibrio fra enfasi e leggerezza, eleganza e sensualità e anche gli accompagnamenti solistici sono di grande fascino e precisione.
Faust è stato interpretato da Wookyung Kim che ha convinto per la voce salda e sicura nel registro acuto e un’omogeneità di emissione davvero notevole; l'esecuzione vocale, come del resto la dizione, sono risultate inappuntabili ma per questo ruolo ci vorrebbero accenti più temperamentosi. Anche il Mefistefole di Paul Gay ha presenza, bella voce e perfetta dizione ma, forse perché lo confrontiamo con gli interpreti carismatici (e decisamente “infernali”) che si sono confrontati in questa produzione (Bryn Terfel, Erwin Schrott, René Pape) certi tratti risultano meno blasfemi e pungenti. Carmela Remigio è stata una Marguerite molto intensa e credibile e ha saputo tratteggiare tutti gli stadi psicologi del personaggio che è apparso complesso e credibile come non mai; dal punto di vista vocale l’esecuzione ha avuto il punto di forza nella ballata e nelle pagine più liriche, mentre in quelle più drammatiche si è avvertita qualche difficoltà di tenuta. Il Valentin di Serban Vasile è partito un po’ in sordina ma è cresciuto nel corso dell’opera sia per precisione vocale che intensità. Laura Verrecchia trova la giusta cifra vocale e interpretativa per il delicato Siebel. Bene anche la Marthe di Gabriella Sborgi, corretto il Wagner di Karl Huml. Ottima la prova del Coro del Maggio Musicale preparato da Lorenzo Fratini e riapparso preciso e compatto. Così pure il Corpo di ballo, fondamentale per la giusta definizione dell’atmosfera voluta da McVicar.