Lirica
FEDORA

Fedora raccontata da Loris

Fedora raccontata da Loris

L’attuale programmazione del Carlo Felice tra belcanto e opera verista prevede un nuovo allestimento di Fedora di Umberto Giordano, opera che dopo il successo iniziale ha subito una lunga eclissi per ritornare in auge negli anni ’90 del secolo scorso grazie a interpreti di eccezione. Fedora è stata spesso rappresentata a Genova e nel cartellone della presente stagione si coglie un voluto raffronto con Tosca: entrambi melodrammi veristi ispirati a drammi di Victorien Sardou, dove le protagoniste sono donne passionali dalle caratteristiche psicologiche comuni inserite in un intreccio dai risvolti politici. Nella trasposizione del dramma dalla prosa alla lirica, Giordano resta fedele all’impianto drammaturgico di Sardou, reso ancor più efficace da un libretto conciso ed essenziale dove, con ritmo serrato, si racconta una storia di amore e morte ambientata fra San Pietroburgo, Parigi e la Svizzera.

L’intuizione registica di Rosetta Cucchi è di rappresentare la vicenda come se affiorasse dalla memoria di Loris, divenuto ormai vecchio ma ancora in preda a dolorosi ricordi. Loris ha quindi un “doppio” interpretato da un attore sempre presente in scena, anche durante gli intervalli, seduto a un lato del proscenio, che  sembra rivivere la propria storia con forte immedesimazione, mimando azioni collegate a quanto avviene sul palcoscenico. Loris sopravvive a Fedora ma anche lui alla fine morirà da soldato nella Prima Guerra mondiale. La licenza temporale che porta a postdatare la fine del dramma con la morte di Loris, se pur plausibile, non aggiunge nuovi significati e va contro la concisione drammaturgica creata da Giordano distogliendo  l’attenzione da quello a cui dava massimo peso il compositore, ovvero “il semplice lirismo delle umani passioni”.

La scena di Tiziano Santi è affidata a pannelli scorrevoli che di volta in volta mettono al centro del palcoscenico l’azione principale inquadrata dalle efficaci luci di Luciano Novelli. Essenziali elementi di arredo fanno da cornice alla vicenda e contribuiscono a definire con pochi tocchi atmosfera e ambientazione; particolare rilievo ha il  pianoforte che rimane in scena per tutti gli atti e diventa protagonista nel secondo atto, quando un pannello oscura gli invitati che ascoltano nel salotto per concentrare l’attenzione sul dialogo diretto tra la musica del pianoforte e il duetto fra Fedora e Loris. Lo scenografo sfrutta la profondità dell’immenso palcoscenico genovese e sullo sfondo, oltre una grande vetrata, si allude al mondo esterno, al paesaggio invernale sotto la neve o al contesto storico che scorre parallelo alla storia privata: l’attentato allo Zar o la fine della Grande Guerra affidata principalmente all’azione scenica di mimi. L’allestimento infatti dà particolare rilievo al contesto storico politico della Russia di fine Ottocento con la protesta dei nichilisti avversata dall’aristocrazia russa tra cui Fedora che, durante l’intermezzo sinfonico, resta quasi in estasi a contemplare al di là della vetrata l’apparizione della famiglia dello Zar scampato all’attentato.

Mentre Daniela Dessì è stata la primadonna del primo cast, nel secondo il ruolo di Fedora è stato interpretata dalla genovese Irene Cerboncini che ha convinto sia dal punto di vista scenico che vocale: passionale e vendicativa nella prima parte, ma senza eccessi, convince anche alla fine per un canto intimo e dolente; la voce  piena e pastosa è adatta per un ruolo “ibrido” in bilico fra soprano e mezzosoprano e si apprezza una dizione chiara che rende i recitativi pregnanti e privi di enfasi. Dato il forfait di Fabio Armiliato, Rubens Pelizzari si è dovuto assumere l’onere di cantare tutte le recite e questo può giustificare un certo affaticamento nel canto: la voce è generosa e risolve con giusto slancio l’aria più famosa dell’opera “Amor mi vieta” ma l’interpretazione è un po’ troppo “verista“ e avremmo voluto qualche sfumatura in più. Da apprezzare, accanto ai protagonisti, i numerosi ruoli minori che hanno in Fedora una parte importante soprattutto nel primo atto nel racconto concitato a più voci dell’inchiesta poliziesca. Sergio Bologna è un De Siriex convincente, Olga è interpretata con notevole disinvoltura scenica e vocale da Paola Santucci.
Citiamo fra gli altri comprimari cantanti spesso apprezzati sul palcoscenico genovese come Luigi Roni (Cirillo),Manuel Pierattelli (Desiré), Claudio Ottino (Boroff), e l’ispettore di polizia Gretch di Roberto Maietta. Completano adeguatamente il cast  Margherita Rotondi (Dimitri),  Alessandro Fantoni (Rouvel),  Davide Mura (Lorek), Alessio Bianchini (Nicola),Antonio Mannarino (Sergio) ed Alessandro Pastorino (Michele).

La serrata concatenazione degli avvenimenti è condivisa da un’orchestrazione che caratterizza il continuo succedersi di situazioni suggerendo atmosfere diverse ed evidenziando l’evolversi della psicologia dei protagonisti. La direzione di Valerio Galli è riuscita a rendere la complessità dell’orchestrazione tra slanci melodici e pianissimi evidenziando i vari settori orchestrali. Una direzione attenta al costante dialogo della musica con la parola, senza enfatizzare inutilmente i declamati che sono risultati naturali ed espressivi. Il direttore dimostra una particolare sensibilità per questo repertorio e risulta efficace nel contenere i volumi orchestrali in un riuscito equilibrio fra buca e palcoscenico. Buona la prova dell’orchestra genovese e del pianista Sirio Restani che ha rivelato anche buone doti attoriali interpretando il ruolo di Boleslao Lazinski.

Nella recita pomeridiana il pubblico era composto in maggior parte di studenti attenti e preparati che, con ripetuti applausi, talvolta “inopportuni” dal punto di vista del melomane ma decisamente spontanei e calorosi, hanno confermato come l’opera possa coinvolgere anche le  nuove generazioni.

Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)