L’allestimento di Fedora attualmente in programmazione al San Carlo reca la firma illustre di Lamberto Puggelli (1938-2013), attivo prima come attore e poi soprattutto come regista nel teatro lirico e di prosa. La sua messinscena, ripresa in questa occasione da Salvo Piro, è sobria e misurata, al servizio del testo e della sua drammaturgia. Non carica di sovrasensi astrusi gli eventi rappresentati, ma ne mette in evidenza le tensioni con mezzi semplici ed efficaci.
Le situazioni musicalmente più complesse sono rese con naturalezza grazie alla calibrata precisione che sovrintende alla disposizione dei personaggi: così accade nella scena terza del secondo atto, che Colautti e Giordano costruiscono sul virtuosistico intreccio di tre dialoghi sovrapposti (Loris e Boroff, Rouvel e Olga, De Sirieux e Fedora); oppure nella scena nona dello stesso atto, dove l’azione è sdoppiata tra il dialogo dei due protagonisti principali in primo piano e la retrostante esibizione pianistica di Lazinski (nel ruolo del «nipote e successore di Chopin» agisce, con brillantezza di suono e vivace presenza scenica, Roberto Moreschi).
D’altra parte, nei momenti più distesi dell’azione, Puggelli tratteggia situazioni di grande intensità e suggestione, come quando affida il congedo degli ospiti del ricevimento parigino a una mesta sfilata di ombre che si muovo lente sui toni cupi, di sorprendente modernità, dell’orchestra: e lì non c’è solo la conclusione di una festa, ma il declino di un intero mondo, presagito con alta sensibilità tragica.
Le scene di Luisa Spinatelli, che firma anche i sontuosi costumi, sono improntate a un gusto tradizionale. A ravvivarle stanno le superfici riflettenti e le proiezioni del fondale, che servono a connotare i luoghi dell’azione (un po’ didascalica appare però la scelta di dare avvio a ciascun atto con un’icona della corrispondente ambientazione, rispettivamente il Palazzo d’Inverno dell’Ermitage, l’Opéra Garnier e un fiabesco lago alpino).
I diversi contesti condividono un’atmosfera complessivamente intima; anche nelle situazioni più affollate, l’attenzione è sempre concentrata sui ruoli principali e sulla loro destino crudele e beffardo. L’impiego estremamente parco del coro contribuisce a rafforzare questa dimensione ‘privata’, nella quale lo spettatore può contemplare da vicino le pulsioni e gli slanci dei personaggi.
A dar vita alla principessa Fedora Romazof sul palcoscenico del San Carlo è l’esperta Fiorenza Cedolins. Il ruolo, si sa, è molto impegnativo: Fedora canta tanto ed è chiamata a una notevole varietà di accenti. Il soprano friulano, generosa dal punto di vista vocale, coglie e asseconda le complesse sfaccettature del personaggio; si ha però l’impressione che non sempre riesca a tenerle insieme in un ritratto a tutto tondo. I trapassi dalla regalità alla trepidazione, dal desiderio di vendetta alla passione si traducono in cesure talvolta troppo marcate, e le diverse anime di Fedora stentano a fondersi in una sintesi coerente. Giuseppe Filianoti appare a proprio agio nei panni del conte Loris Ipanov e si fa apprezzare per il bel timbro e per l’appassionata interpretazione, nonostante qualche sforzo nell’area acuta del registro. In crescendo è la prova di Barbara Bargnesi (la contessa Olga Sukarey), sempre spigliata e giustamente frivola nel gesto, ma inizialmente un po’ flebile nel canto e poi via via più sicura, incisiva e convincente. Roberto de Candia offre una riuscita caratterizzazione di De Siriex, del quale sa restituire con duttilità sia le esuberanze («La donna russa è femmina due volte»), sia le inflessioni più pensose. Francesca Russo Ermolli disimpegna con bravura le parti di Dimitri e del piccolo savoiardo. Merita di essere sottolineata l’interpretazione di John Paul Huckle, che dà risalto plastico agli interventi pur brevi del cocchiere Cirillo e del medico Boroff. Completano il cast Cristiano Olivieri (Desiré), Gianluca Sorrentino (il barone Rouvel) e Daniele Piscopo (Grech).
Dal podio Asher Fisch guida con sicurezza i cantanti e l’orchestra. Il direttore israeliano dosa con gusto raffinato le sonorità e cura minuziosamente il fraseggio; la sua lettura, pertanto, valorizza la partitura di Giordano e ne mette in luce i preziosi dettagli di armonia e di strumentazione. Qualche defezione in platea non sottrae entusiasmo all’applauso con il quale il pubblico saluta tutti gli interpreti alla fine della rappresentazione.