Fidelio è opera non frequente nei teatri italiani: curioso che alla Scala in pochi anni sia stata scelta ben tre volte per inaugurare la stagione, la precedente solo quindici anni fa (7 dicembre 1999, direttore Riccardo Muti e regista Werner Herzog).
Deborah Warner evidenzia tre temi nell'opera (la ricerca della verità nell'oscurità di una prigione, la scoperta dell'ingiustizia, la forza dell'amore che conquista tutto) e li declina in modo chiaro e comprensibile. La trasposizione ai giorni nostri dell'allestimento (scene e costumi di Chloe Obolensky, luci di Jean Kalman) non muta il senso e il significato del libretto ma ha il pregio di renderlo eterno e attuale. La regista aggiunge alcune frasi ai recitativi ed è attenta alle parole e alla loro traduzione in gesto; stona soltanto nel finale “Mein Mann an meiner Brust! / An Leonorens Brust! / Du wieder nun in meinen Armen” mentre Leonore e Florestan sono ai due lati del palcoscenico ma, a ben considerare, in questo modo l'abbraccio finale a lungo agognato risulta pieno di trepidazione. Invece la coralità della liberazione, con un gruppo di rivoltosi armati di bastoni e drappi rossi, toglie la riferibilità del momento alla forza e alla determinazione di Leonore (con l'ausilio di Rocco) contro la disumanità di Pizarro.
L'allestimento è bello ed efficace: il primo atto in un interno da archeologia industriale dominato da pareti di cemento in rovina, il secondo atto negli stessi materiali ma cupamente buio e sinistro, nel finale una nevicata avvolge e copre tutti in segno di rinascita e rigenerazione.
Nel complesso regia, scene, costumi e luci sono ottimi; risulta curato l'approfondimento psicologico con cantanti-attori ben diretti: gesti, movimenti, sguardi, nulla è affidato al caso e coerenti sono le corrispondenze tra musica e immagini. Commuovente il coro dei prigionieri emersi dal basso, in ginocchio, umiliati come animali (con sbarra manovrata dai carcerieri), schiacciati dalla struttura verticale incombente. Suggestivo che la sinfonia iniziale sia suonata con le luci soltanto abbassate in una sala dominata da toni crepuscolari. Giusto il buio totale in scena dopo l'esordio musicale cupo e minaccioso del secondo atto (da cui emerge la voce flebile di Florestan), come anche l'esplosione di luci e colori nel finale: grazie all'amore crolla il mondo di malvagità e buia oppressione con l'avvento di un mondo nuovo che invade tutta la scena popolata da varia umanità.
Spettacolare la direzione orchestrale di Daniel Barenboim che sceglie la Leonore n. 2 come sinfonia iniziale con luci crepuscolari in sala e sipario abbassato: con questa opera Barenboim saluta la Scala e il pubblico gli tributa ovazioni. Il Maestro, particolarmente versato nel repertorio germanico, ottiene dall'orchestra una prestazione eccellente: la leggerezza dello spessore e la luminosità timbrica si accompagnano a un passo perfetto che sottolinea il suono sontuoso e limpido cesellato da attacchi perfetti in un amalgama che sostiene e valorizza il canto in tempi non serrati e giusti per le scelte registiche. Soprattutto si è apprezzato l'aver iniziato con tempi allargati e pianissimi (issimi) per poi esplodere nei momenti potenti.
Anja Kampe è una splendida Leonore combattiva e forte ma non aggressiva, teatralmente e vocalmente impeccabile. Il pubblico della prima replica ha avuto la sorpresa di avere nel cast, a causa di un'indisposizione di Klaus Florian Vogt, un sostituto di lusso come Jonas Kaufmann, forse il migliore oggi, che conferma di essere in grande forma: la voce ha quel timbro inconfondibile, il fraseggio è curato, il canto esce leggerissimo e naturale, soprattutto i piani di straordinaria morbidezza udibili in ogni sillaba densa di significato; insomma un Florestan irripetibile, oltre che inatteso. Ottimo il Rocco “casalingo” e umanissimo di Kwangchul Youn. Insiste sul pedale del cattivo perenne il Don Pizarro di Falk Struckmann, mentre Peter Mattei dona nobiltà ed eleganza a Don Ferrando. Si nota la Marzelline di Mojka Erdmann accanto al giusto Joaquino di Florian Hoffmann. Completano il cast Oreste Cosimo e Devis Longo e il coro della Scala ottimamente preparato da Bruno Casoni.
Pubblico attento e partecipe, molti applausi nel finale con un trionfo per la star Kaufmann. Il programma di sala ha una nuova veste grafica e contiene belle foto del teatro di Marco Brescia e Rudy Amisano: inediti sguardi e prospettive della Scala.