Prosa
FINALE DI PARTITA

Cento anni di Beckett. “Fina…

Cento anni di Beckett.
“Fina…
Cento anni di Beckett. “Finale di partita”, allestimento dal carattere particolare; collocabile sia nel contesto delle celebrazioni, per il centenario della nascita di Beckett, inaugurate dal Piccolo Teatro, con la collaborazione dell’Università Degli Studi di Milano (dipartimento di scienze del linguaggio), quanto svincolate da tale programma commemorativo. A detta dello stesso Branciaroli, infatti, tale anniversario costituisce solo un pretesto per affrontare un autore formativo quale è Beckett nella messinscena di uno dei suoi testi più amari e complessi, un ritratto di una generazione post bellica e in disarmo. Finale di partita. Indica la terza ed ultima parte del gioco degli scacchi, momento della sfida cui accedono solo i giocatori più esperti (a Beckett molto nota). Allo stesso tempo, abile e lucida metafora del destino dell’Europa del dopoguerra. L'ambientazione è una stanza angusta, priva di via di fuga, rischiarata solo dalla luce che filtra da due alte finestre sul fondo ed una sola porta che conduce verso un’illusoria via di fuga. Deposito di oggetti e persone, abitato da quattro presenze: Hamm, uomo cieco e condannato all’immobilità; Clov, suo figlio/ servo, esegue i ripetuti e contraddittori ordini del proprio padre padrone. In scena ci sono due bidoni della spazzatura in cui vivono ed emergono i genitori di Hamm: Nag e Nell. Il tempo scorre nella stanza, sempre uguale e tuttavia sempre diverso, concetto sviluppato su infinite variazioni che scorrono, scandite anche dal variare della luce, nella stanza, sempre eguale eppure diversa per sfumature. Le battute, le frasi, i giochi di parole ripetuti sino allo sfinimento tracciano l’amaro paradosso della condizione umana; in Beckett tragico e commedia sono due aspetti complementari di un’unica realtà. Dalla messinscena di Branciaroli è possibile evincere due realtà fondamentali: il grande amore e l’incondizionato rispetto del regista nei confronti del drammaturgo. Lo rispetta al punto da non avere nemmeno il coraggio di adattarne l’opera all’attuale contesto, a parte qualche minima modifica, apportata sul piano dei registri recitativi(Hamm parla con toni farseschi alla Clouseau); in tal modo, l’altro punto controverso è che, se da un lato, viene trasposto per intero il senso claustrofobico della pièce, dall’altro produce, nello spettatore, un senso di progressivo, totale, distacco, sino a giungere - alla fine dell’ora e mezzo di spettacolo ad un totale senso di indifferenza. Non c’è posto, in questo allestimento per sbavature o imperfezioni di sorta: né sul piano gestuale, studiato e trasposto nei minimi dettagli, né sul piano dei registri vocali, i quali tuttavia producono, nell’insieme, un effetto di algida perfezione. Milano Piccolo Teatro -Sala Grassi Recensione raccolta 7/11/06,nella serata del debutto a Milano.
Visto il
al Dadà di Castelfranco Emilia (MO)