Il grande contenitore scenico del teatro Argentina, magico sbocco che dalla maestosa sala all’italiana conduce al mondo della finzione, è circoscritto,in quest’ultimo spettacolo ideato da Franco Branciaroli, ad un ristretto quadro visivo entro cui si svolge l’azione. L’occhio dello spettatore è come nelle scenografie del teatro rinascimentale, risucchiato dalla scatola scenica, che nella fattispecie rimanda ad un dipinto e che simula l’illusione ottica della prospettiva. La sensazione d’immobilità si impadronisce di questa rappresentazione teatrale del secondo capolavoro di Smuel Beckett, scritto nel 1957, interamente giocato sulla delirante quotidianità di quattro personaggi, Hamm e Clov, i protagonisti, e Nag e Nell, i genitori del primo. Tutto si innerva su una violenta sconfitta esistenziale cicatrizzata in ossessive ripetizioni di azioni quotidiane, gli unici brandelli di un’energia vitale congelata in un’ambientazione post-atomica: gli abitanti di questa claustrofobia arca del non-senso sono vittime di menomazioni fisiche (la cecità e l’immobilità per Hamm, costretto su una sedia a rotelle e l’impossibilità di sedersi per Clov proprio) come in una dimensione intossicata da un aria malata di radioattività. Come del resto Nag e Nell imprigionati in due secchi dell’immondizia, ridotti a dei tronchi umani piantati su nella segatura. Non c’è contatto con l’esterno. L’interno di questa stanza sembra essere tutto l’universo, un orologio impazzito, che ha sovvertito l’ordine naturale, oscurato i colori del cielo e reso plumbeo il mare. L’unica interferenza esterna è rappresentata da due finestre colorate da diversi colori più o meno vivaci, contrapposti alla freddezza cimiteriale della stanza asfittica e velata talvolta da un lieve azzurrino e da un rosso soffuso. L’idea dell’orologio impazzito si attiene anche al modo di concepire il teatro da parte di Beckett, interessato non tanto a sviluppare delle tematiche o a far emergere la realtà emotiva dei personaggi quanto a sistemare entro uno schema quasi musicale la partitura di movimenti, di battute e soprattutto di pause, anche lunghissime, indicate dall’autore non come delle didascalie, ma come parte del testo. Le azioni e le parole dei personaggi sono mosse non da motivazioni interiori ma da esigenze puramente meccaniche e teatrali: per cui anche la relazione tra di loro non è certamente di natura affettiva ma è dettata dalla necessità di continuare, malgrado la volontà di “farla finita” (concetto spesso ribadito) questa lenta ed inutile partita di scacchi.
dal 19 al 28 aprile al teatro Argentina di Roma
Visto per voi il 23 aprile
Visto il
al
Dadà
di Castelfranco Emilia
(MO)