Godot è sdraiato sotto ad un cartone, dorme; una bottiglia di whisky al suo fianco, capelli e barba bianchi, una camicia di forza come abito riveste il suo corpo. Godot dorme sotto ad un cartone, in un luogo dove il tempo, inesorabile, scorre e l’attesa diventa ossigeno e anidride carbonica al tempo stesso. Finalmente è arrivato: il Signor Godot è disteso nel suo giaciglio, uomo inerme, fragile, impaurito, indifeso.
La storia inizia là dove era finita. Tutto scorre, nella desolazione di un luogo dove regna l’abbandono, dove gli scarti della società soffocano la natura, dove la dignità umana e la speranza sono mortificate. Tutto scorre.
La messinscena è un insieme di micro-cosmi, ognuno slegato dall’altro, in cui pause e pensieri, dialoghi al limite del senso logico, parole ed azioni creano un caleidoscopio in cui il linguaggio viene sdoganato e diviene metafora.
Due uomini, Vladimiro ed Estragone, dividono la scena in una discarica dell’umanità, circondati da bottiglie di plastica e oggetti del passato: sono essi stessi uno scarto, persi nello spazio temporale di un mondo in cui l’attesa divora le menti e le sdogana al rispetto dell'umana dignità.
L'alienazione dell'uomo traspare dalla mancata volontà di andare incontro al cambiamento sperato e cercato, ma non voluto, perché indice di stravolgimento.
Finalmente Godot è una metafora delle occasioni mancate, una riscrittura ambiziosa di un tema scomodo, una critica esplosiva all'uomo che non trova il coraggio di riscrivere la sua esistenza, che perde la bussola se un qualcosa non è al suo posto ma tende a muoversi verso lo spazio circostante, destabilizzando la continuità degli eventi.
Vladimiro ed Estragone sono dentro ognuno di noi: cerchiamo, non siamo contenti, felici della nostra posizione, ma quando ci viene proposto il cambiamento, quando otteniamo quella cosa sperata, non la riconosciamo, anzi, la vogliamo distruggere accusandola di non essere vera ma causa del malessere.
Finalmente Godot è tra noi, ma nessuno lo ha riconosciuto...