Il contesto in cui ci accoglie la compagnia di Andrea Monti è a dir poco “intimo”: il Teatro Manhattan è più che altro una piccola stanza con delle sedie ed un palchetto neanche rialzato rispetto al pubblico, che racchiude come una nicchia, una grotta o meglio ancora una “scatola” gli attori in scena, divisi da pochi centimetri dal loro pubblico. Ma questo limite non sembra pesare molto sugli interpreti di “Finché morte non ci separi”, che sfruttano infatti ogni angolo e centimetro di pavimento, parete e aria attorno a loro, facendo appello alla fantasia e all’immaginazione del pubblico ma aiutandolo anche a rievocare con parole e gesti tutto ciò che non è fisicamente “presente” in scena.
La coppia del primo “corto” teatrale è composta da due giovani hippies-pacifisti un po’ pazzi, Gino e Franca. L’interprete Davide Campolo è perfettamente calato nella parte del marito esaltato che proclama e ricerca la pace universale ma improvvisamente, inspiegabilmente e curiosamente si rivela irruento, geloso e violento. Le nevrosi, i litigi e le riappacificazioni comuni di una coppia, sono qui trasformati attraverso il linguaggio e la gestualità di due “figli dei fiori” un po’ ambigui.
Nel terzo “corto” il problema dei due innamorati, affrontato più che mai teatralmente e con effetti davvero esilaranti, ma non privi di risvolti macabri, diventerà l’alimentazione ed i problemi di fegato di Gino porteranno entrambi a gesti estremi e disperati.
La seconda coppia, composta da Caio e Sempronia (la bravissima Lisa Recchia), debutta declamando versi di esaltazione sull’erotismo e sui genitali e si presagisce il tema chiave di questo “corto” con la frase “finché corna non ci separin”. L’amante di Sempronia, Tizio (interpretato da un Valerio di Benedetto simpatico ed espressivo) visibilmente eccitato dalla presenza della sua donna e tante altre buffe trovate comiche, rendono questa scenetta decisamente più divertente, ricordando una farsa teatrale in versione moderna. Dramma e commedia si incontrano, rappresentando il tradimento.
Il lavoro risulta nell’insieme coinvolgente ed originalissimo,. Gli attori sono tutti in gamba ed ognuno riesce a caratterizzare in modo forte il proprio personaggio, distinguendolo nettamente dagli altri. Sono davvero apprezzabili alcuni passaggi del testo, alcune metafore molto ben riuscite e l’originalità della poesia/burla.
La “coppia”, assoluta protagonista, è fatta di continue contraddizioni e scambi di ruoli. Temi come la guerra, la giustizia, l’infanzia, la vita, la morte sono toccati di tanto in tanto con grande leggerezza ed ironia e niente viene preso sul serio. Si pronunciano frasi volutamente banali sull’amore ed un profluvio di “ti amo” detti senza significato e senza peso. La violenza, presente in tutte le scene, è affrontata con fantasia e giocosità.
E l’unica soluzione possibile ai problemi d'amore, sembra essere la morte, come ricorda, appunto, il titolo.
Roma, Teatro Manhattan, 18 Novembre 2008
Visto il
al
Manhattan
di Roma
(RM)