Agrodolce e mordace l’adattamento drammaturgico di Steel magnolias con cui Claudio Insegno torna a dirigere delle vere e proprie icone dello spettacolo italiano quali Sandra Milo, Caterina Costantini e Rossana Casale, indiscutibili colonne portanti di un immaginario artistico collettivo che di per sé potrebbe esser motivo sufficiente per lasciarsi rapire e conquistare dalla godibile messinscena di Fiori d’acciaio, per innamorarsi definitivamente e letteralmente di queste attrici che appartengono alla nostra storia come figure paradigmatiche di una femminilità prorompente e volitiva coniugata a quel chiaro alone di fascinoso divismo a cui ci si accosta col trasporto e la deferenza assoluta tributata agli idoli ed alle creature celicole.
Ipnotizzati, dunque, dalla magnetica personalità delle protagoniste in scena, la commedia, garbatamente drammatica e dolorosamente brillante, manifesta il pregio assai raro di una leggerezza che, senza concedersi mai alla deriva della banalità e alla fastidiosa insidia di una superficiale semplificazione del dettato narrativo, accompagna il pubblico con apparente spensieratezza verso un epilogo tragico e commovente, evitando con accurato calcolo di prudenza ogni cedimento al patetico di genere ed alla facile soluzione melodrammatico-televisiva, esaltando così la verve interpretativa delle attrici in scena, nonché la perizia registica di Claudio Insegno, abilissimo nell’evitare il rischio, pur ragionevolmente paventato dallo spettatore, di un feuilleton teatrale popolare, privo di sfumature e ricercati chiaroscuri psicologici.
Proprio in questa direzione equilibrata ed intelligentemente calibrata scorgiamo il segreto di un sicuro successo, un successo che sarà ancora più evidente quando lo spettacolo raggiungerà un livello di rodaggio più avanzato, permettendo così al gruppo di attrici quell'affiatamento e quella sinergia relazionale che è fisiologicamente più ardua nei debutti, un successo che non può non nascere da un’oculata strategia di costruzione e definizione dei personaggi, strategia dietro la cui caratterizzazione, mai facile, è possibile individuare uno scaltrito lavoro introspettivo tendenzialmente funzionale a valorizzare e far gradualmente emergere la problematica e complessa realtà interiore dell’animo umano che, a dispetto di qualsiasi rigido manicheismo interpretativo, si rivela e si offre come dimensione di caleidoscopica complessità cromatico-spirituale e la cui rappresentabilità è cosa che può riuscire solo a registi acuti e sensibili quali, appunto, il bravo Claudio Insegno.
Napoli, Teatro Troisi, 08/01/09
Visto il
al
Vittoria
di Roma
(RM)