Israel Galvan si presenta al pubblico della Biennale con un anagramma al posto del titolo. FLA.CO.MEN è però molto più di un’inversione di flamenco, è la cifra di un percorso che coglie il valore della tradizione nella libertà di prenderne le distanze, due sillabe si scambiano di posto e giocare con il proprio patrimonio culturale si fa imperativo categorico, gioco di seduzione, con se stessi innanzitutto e con tutte le forme e i codici espressivi a disposizione.
L’ironia salverà il mondo
Il mondo del flamenco è complesso, come tutti quei mondi che di fatto sono un’attitudine alla vita, perché hanno radici orali e popolari: taranto, tango flamenco, tonà, verdiales, soleà sono declinazioni di energia liberata e non semplici forme di comunicazione. Galvan tutto questo lo sa, danza dall’età di cinque anni, è figlio d’arte non c’è dubbio, ma quello che cerca è pescare a piene mani dall’universo del flamenco e superare gli stereotipi, scomponendo il corpo, entrando e uscendo da linguaggi ormai codificati. Insomma, si può prendere in giro la tradizione, ma bisogna avere grandi capacità tecniche e vitalità da vendere.
Nei 75 minuti di spettacolo Galvan balla e fa suonare il suo corpo senza fermarsi, il suo flamenco attraversa i generi musicali, i sette bravissimi musicisti che lo accompagnano virano infatti dal gipsy al Klezmer attingendo alla tradizione slava e sconfinando in sonorità celtiche, ma Galvan attraversa anche gli oggetti, perfino un microfono di palco diventa superficie su cui battere, e attraversa infine anche i sensi. Nel buio calato sulla scena riusciamo a sentire il ritmo incessante dei suoi piedi, il flamenco diventa così esperienza sensoriale che si dilata quando il danzatore sivigliano si spinge, sempre al buio, tra il pubblico eseguendo i passi con effetto quasi olofonico.
Israel Galvan
Tutto è flamenco
Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Se può valere per le leggi della fisica, perché non per il flamenco? Israel Galvan si allunga nelle forme di un flamenco pluri-etnico e post-contemporaneo, disintegrando schemi e includendo voracemente ogni forma di contaminazione.
E’ un Galvan affamato quello che si muove in scena: dialoga con gli strumenti e non solo con gli strumentisti, riesce a utilizzare perfino Muove la Colita per zapaetar, il manuale del perfetto bailaor de flamenco è composto da una serie di fogli bianchi che finge di leggere mentre indossa un grembiule da cucina come costume tradizionale, raccoglie provocazioni di matrice africana o blues, duetta con soli mani e piedi con i cantaores in scena, rendendo stridente il contrasto tra l’ironia dei suoi movimenti e la sofferenza che tradizionalmente accompagna il cante del flamenco. Una festa insomma, un flamenco rilassato e gioioso, gesti maschili e femminili s’intrecciano con naturalezza e libertà tutta contemporanea, una festa senza freni e senza limiti di orizzonti.
E non è forse proprio questo che serve per conservare la grandezza della tradizione?
Spettacolo: FLA.CO.MEN
Visto al Teatro alle Tese Biennale Danza 2018 di Venezia.