Il cartellone del Teatro Verdi di Trieste quest'anno sembra singolarmente dedicato alle figure femminili, figure di donne innamorate o donne seduttrici, in una carrellata di temperamenti quanto mai varia: dopo l'inaugurazione di stagione nel novembre scorso con la stupenda Violetta di Mariella Devia, abbiamo visto andare man mano in scena l'erotismo peccaminoso e torbido della Dalilah di Saint-Säens e della Salome di Strauss, e poi i tratti squisitamente romantici della Giulietta di Čajkovskij e della Bayadère di Minkus, in due capisaldi del balletto russo ottocentesco. Ora è la volta della dantesca Francesca da Rimini, l'infelice amante di Paolo Malatesta. Personaggio in bilico tra storia e leggenda, essa scaturisce vitalissima nella rilettura fattane da Zandonai, scoprendo una singolare immedesimazione con la sua figura:«Io l’ho sentita con profonda e commossa pietà (…) Francesca è l’amore senza erotismo, e la coscienza viva che questa donna possiede del peccato, rivela in lei una profonda spiritualità», scriveva infatti il musicista di Rovereto in quel periodo. Va da sé che una qualche parte nella riuscita complessiva dell'opera l'ebbe pure Tito Ricordi, il quale seppe ben sfrondare il testo originale dannunziano dalle letterarie divagazioni e dai tanti fronzoli 'dugenteschi', ottenendo un libretto di notevole spessore drammatico, ben più stringato dell'originale. Si dice anzi che D'Annunzio, contrariato dai profondi rimaneggiamenti (ma non certo, venale com'era, dai cospicui diritti d'autore riconosciutigli da Casa Ricordi) non sia mai andato a vedere l'opera. Non tanto per disistima verso il compositore, quanto per il fastidio di vedere un suo testo riadattato e per un ostinato rifiuto di valutarne l'effetto scenico. Eppure "Francesca da Rimini" non è solo, senza alcun dubbio, l'apice della creatività del musicista di Rovereto, ma nel contempo uno dei lavori più originali del nostro primo '900, soprattutto per una forma di recitativo/cantato singolarmente efficace, e per la strumentazione luminosa e sapiente. Una partitura che cerca di lasciarsi alle spalle ogni residuo vetero-verista per trovare un più ampio respiro (verrebbe da dire europeo, anzi cosmopolita) senza però riuscirvi del tutto, tanto forte era l'eredità di Mascagni, Giordano & C.. Nondimeno, il suono dell'orchestra risulta ricchissimo e cangiante, con una sapienza che nulla lascia al caso, e con un profumo che sa di Debussy e Strauss - esempi ineludibili, per chi guardasse allora oltr'Alpe - senza però farsene pedissequo epigono. Partitura da guardare con attenzione specie oggi, che della provincialissima polemica «sinfonismo si, sinfonismo no» non v'è più traccia, se non nei libri di storia.
Quello che spiace, è che tutta la produzione di Zandonai sia stata un po' accantonata, salvo rare eccezioni - cito il caso di una rarissima"Conchita" approntata nella sua città natale qualche anno fa, e passata praticamente sotto silenzio. Per fortuna esistono pure interpreti eccellenti che s'innamorano di certi ruoli: ieri Raina Kabaivanska, oggi c'è una Daniela Dessì che della sventurata Francesca si è innamorata, riproponendola da par suo. Qualche merito potrebbe rivendicarlo pure il Verdi di Trieste, che nel 2004 pose in apertura di stagione "I cavalieri di Ekebù" in una versione diretta da Steven Mercurio con la regia di Federico Tiezzi e che ora, quasi a fine stagione, ripropone appunto "Francesca da Rimini". La medesima opera che, sotto la bacchetta del suo autore, qui aveva inaugurato nel dicembre 1919 la stagione lirica, riapparendo poi con una rassicurante regolarità sulle sue locandine.
Peccato che l'allestimento proveniente dall'Opernhaus di Zurigo (con il quale è stato prodotto) nell'insieme mi sia parso abbastanza deludente: la regia di Marcello Del Monaco si limita a far tabula rasa delle complicate didascalie del libretto, senza inventarsi in cambio granché, salvo mettere Gianciotto su una sedia a rotelle; la costumista Maria Filippi ha curiosamente vagato da un medioevo da cartolina (quant'era brutto il mantello azzurretto di Paolo!) ed un vago Ottocento: Francesca e le ancelle passeggiano nel primo atto in un giardino gremito di fiori, come stessero in un quadro di Monet. Le idee scenografiche si devono a Carlo Centolavigna, che ha abbozzato per le scene successive interni che rinviano all'ambiente decadente e lugubre del Vittoriale dannunziano; e in effetti la maschera funebre del Vate giganteggiava sia sul velatino che talora copriva la scena, sia nel grande quadro incorniciato che dominava la camera di Francesca.
Il pubblico triestino - non sempre numeroso, in verità, nelle varie recite - si è consolato con un cast ben costruito, nel quale giganteggiavano il soprano armeno Hasmik Papian - una Francesca intrisa di trepidante malinconia, garbata nella linea vocale - ed il generoso Paolo di Marcello Giordani: nel bellissimo duetto del terzo atto arditi fiorami liberty da parte di lei, e suoni vibranti e lucenti da parte del tenore siciliano. Né era da meno Giorgio Surian nel dar corpo ad un Gianciotto brutale e spietato, come è giusto debba essere, ma per nulla trucibaldo come capita talora di incontrare: ottimo attore specie nel dialogo con Francesca prima, e con Malatestino poi, in cui traspare l'amarezza della disillusione. Quanto al Malatestino di Gianluca Sorrentino, bisognerebbe capire se e quanta parte abbiano avuto regia e direttore nel suggerirgli un canto isterico e sforzato, a volerne sottolineare ferocia e bassezza morale. Buona la Samaritana di Luoise Callinan, querule e poco affiatate le altre fanciulle di contorno: Milena Josipovic (Adonella), Annika Kaschenz (Altichiara), Carla di Censo (Biancofiore), Erika Pagan (Garsenda). Gli altri: Giovanni Guagliardo (Ostasio), Manrico Signorini (il giullare), Alessandro De Angelis (il balestriere), Andrea Bonsignore (il torrigiano).
Fabrizio Maria Carminati ha mostrato di saper dominare assai bene - grazie ad un mestiere saldo e sicuro - un partitura affatto facile, piena di effetti sonori e di preziosità strumentali: il lunghissimo finale primo appariva in questo senso esemplare, ed erano resi con bella densità drammatica i successivi quadri. Il secondo cast allineava Patrizia Orciani (Francesca), Carlo Baricelli (Paolo), Yasuo Horiuchi (Gianciotto) e Pablo Karaman (Malatestino).
Lirica
FRANCESCA DA RIMINI
Francesca al Vittoriale
Visto il
al
Verdi
di Trieste
(TS)