Prosa
FREDDO

Una denuncia tutt'altro che fredda

Una denuncia tutt'altro che fredda

 Freddo di Lars Norèn, classe 1944, poeta, romanziere, drammaturgo e regista teatrale svedese, è un testo di notevole spessore, tradotto da Annuska Palme Sanavio, che sa indagare senza scadere in facili sociologismi la xenofobia che storicamente attanaglia l'Europa, anche quella democratica e civile scandinava.
In un parco (un bosco) Keith, Anders e Ismael tre giovani adolescenti si ritrovano alla fine della scuola. Vestono i segni esteriori dei nazi-skin: capelli rasati, vistosi tatuaggi, giubotti neri e pantaloni attillati, mostrando dinamiche da branco, anche se sono solamente in tre. Keith  il loro capo,  parla la lingua degli slogan, e iscrive nei propri geni la differenza autoctona che dà ai bianchi originari di quei posti supremazia sui migranti o sulle altre razze che lì vivono, considerate causa di disordine perchè semplicemente fuori posto. In nome di un semplificatorio nazionalismo svedese (conscio degli altri nazionalismi europei, compresi degli espliciti riferimenti al governo Berlsuconi, che sono nel testo originale) Keith ineggia a una battaglia di riconquista.
Per quanto uniti e compatti i tre ragazzi mostrano al loro interno le stesse differenze che criticano  all'esterno come destabilizzanti (Ismael è mussulmano, forse con problemi cognitivi, considerato la catena debole perchè non allineato sugli stessi standard di violenza degli altri due) e per compattarsi hanno bisogno del diverso, che trovano in Kalle, un loro compagno di scuola di origini Coreane, adottato quando aveva due anni, dunque Svedese in tutto e per tutto, col quale giocano come il gatto con il topo. Il ragazzo cerca un confronto dialettico con loro, prova a farli ragionare su cosa significhi essere svedesi ma la prepotenza, oltre ad essere delirante, è anche capricciosa, e proprio quando la dialettica sembra avere successo ecco tornare tutto alle posizioni di prima. Fino all'epilogo, che sappiamo inevitabile.
La messinscena di Marco Plini prodotta da Emilia Romagna Teatro Fondazione si presenta con una scenografia, di Claudia Calvaresi, efficace e davvero notevole,  che ripropone il bosco nel quale i ragazzi si ritrovano, attraverso alcuni elmementi in legno: una panchina la giostra, l'altalena svedese, la fune e il praticabile per le arrampicate, un enorme copertone, immessi all'interno di un contenitore più vasto, cubico, di color grigio azzurro, che, opportunamente illuminato, può imporsi alla vista dello spettatore lasciando il resto dela scena in ombra.
Uno spazio concreto ma anche simbolico, dove i tre giovani  si muovono in attesa della loro vittima.
I quattro giovani attori sono tutti molto bravi riuscendo a dare credibilità a dei personaggi di difficile interpretazione, che può scadere, ma qui non accade, facilmente nel cliché. La regia di Plini, più centrata quando entra in scena il ragazzo coreano, è poco efficace  nella prima parte quando il testo presenta i tre nazi-skin nelle loro dinamiche di guppo. Plini fa recitare i suoi attori subito al massimo, facendoli urlare, agitare, così, quando alla presenza del capro espiatorio serve uno scatto di reni violento, gli attori sono già a pieno regime e lo scatto non avviene mai per davvero.
Troppo sicuri di sè i tre nazi sembrano  più dei giovani uomini (sui 25 anni) che degli adolescenti come previsto nel testo originale e come ribadisce Plini stesso nelle note di regia.
Non c'è fragilità alcuna nel loro modo di comportarsi, nel loro modo di (s)ragionare, c'è solo la mefitica propaganda xenofoba che inquina tutto come il petrolio il mare.
Si badi bene Keith, Ismael e Anders non sono dei mostri,  delle eccezioni malate di una soceità sana, sono piuttosto dei ragazzi normali come ben sottolinea Plini nelle note di regia. Normali sì ma non intelligenti, come Plini crede che siano: semplificano invece di vedere la complessità, eslcudono e usano la preopotenza invece di essere presi dalla curiosità onnivora che divora gli adolescenti. I loro ragionamenti e il loro modo di comportarsi non è mai segno di intelligenza quanto  di mediocrità. Intelligente, e adolescenzialmente sprovveduto tanto da accettare un confronto dialettico con loro, è Kalle il ragazzo coreano che crede Keith, Ismael e Anders siano ragazzi coi quali si possa ragionare. Ma è proprio la complessità del ragionamento che fa loro paura e fa scattare la scintilla improvvisa della violenza, in una maniera che è più chiara all'autore Norèn, sufficientemente in avanti con gli anni da non farsi sedurre da una visione romantica delle cose (e dei suoi personaggi) di quanto invece non capiti a un regista acora giovane come Plini che spera  i suoi personaggi possano in qualche modo ancora riscattarsi.
Comuqnue sia i ragazzi di Freddo sono i nostri figli il cui sonno della ragione preconizza una società molto più mostruosa di quanto si possa umanamente immaginare.

Visto il 07-04-2011
al India - sala A di Roma (RM)