Scomodo, provocatorio, reale ma sapientemente costruito, lo spettacolo Fuck me dell’artista argentina Marina Otero in prima nazionale al Politeama di Napoli apre la sezione autunnale del Campania Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio.
Corpi nudi e maschili in scena, liberi nella loro rocambolesca agilità fanno da contrasto al dolore del corpo limitato dell’unica donna, la stessa Marina Otero che interpreta Marina Otero. Un viaggio autobiografico nella sofferenza e nell’accettazione del limite dell’azione del corpo. Ultimo momento di una trilogia spezzata dalla vita e che sembra aver il senso del ‘non arrendersi’.
Il corpo, la sua forza
Qual è la forza del corpo, il limite del corpo? Quale prova il corpo può sopportare e quanto piegarsi all’esasperazione dell'anima? Sembra rispondere a quest’interrogativi lo spettacolo di una Marina Otero che, senza retorica, racconta a voce la sua storia, quella di un corpo spezzato, impossibilitato, consumato.
Il suo viaggio che vuole bucare la quarta parete ‘reale’ del teatro, tenta di spezzare anche quella emozionale del patto assodato a teatro: che si assista solo a una vera finzione. Attraverso filmati che la seguono fin da bambina, questo corpo si trasforma: il suo 'ballare estremo', che si misura con il limite provoca rotture o è causato da rotture? E l'interrogativo torna.
Qual è il limite tra la finzione e il vero? Quanto di costruito c'è nel racconto di una storia che sembra quella di un'eroina che contrasta le prove della vita? Il corpo crolla a terra nella sua ricerca di mostrare duttilità, per incontrare la fragilità di ernie, interventi che la rimettono in piedi ma con passo stentato.
Il nudo, lo svestirsi di un'anima
Parlano sempre di lei i personaggi maschili in scena. Sono loro, bravi nella loro coordinata duttilità, ad aprire lo spettacolo alzandosi dalla platea tra il pubblico per andar sul palco e ballare. Nudi. Ripetono gesti, sempre gli stessi che poi si scopre essere gli stessi passi della performace di Marina Otero.
Hanno tutti lo stesso nome, cambia solo il numero, e sono tutti proiezione, alter-ego, completamento per lei. Il video fa vedere l'ultimo ballo registrato in video mentre loro ne realizzano uno identico e sincronico, solo che il posto di Marina Otero è di uno dei più femminili corpi del gruppo. Sono fili della sua mente, come spiegano i suoi passi stentati ma che ugualmente fendono lo spazio, guidati poi come sono da lei stessa.
Fili della sua mente, svestono la sua di anima e ne restano invischiati. La finzione del culto esibito, anche se al contrario, del corpo, fa da contraltare alla verità di un animo svestito in uno spettacolo che resta scomodo ma non sa di pesantezza.