Extra
GHERTRUDA, LA MAMMA DI A.

Ghertruda, regina e madre, e i suoi fantasmi

Ghertruda, regina e madre, e i suoi fantasmi

Con Ghertruda la mamma di A. si sono concluse le due settimane di poesia al femminile del Centro Teatrale Bresciano iniziate con Elena di Iannis Ritsos interpretata da Elisabetta Pozzi.
Lo stabile Bresciano, all’interno della rassegna Shakespeare Imago Mundi, ha infatti tenuto a battesimo al Teatro Santa Chiara-Mina Mezzadri il nuovo monologo in versi del poeta Davide Rondoni, basato sulla figura della madre di Amleto, interpretata da Laura Piazza per la regia di Filippo Renda.
Ghertruda è qui vista negli ultimi istanti della sua vita, immediatamente dopo aver bevuto il veleno che le sarà fatale. In questo lasso di tempo la donna-regina-madre ripercorre la sua vita confrontandosi con i fantasmi di coloro che sono morti prima di lei: Amleto, padre e figlio, Claudio, Ofelia. Ne esce, almeno nella prima parte, una Ghertruda che strizza molto l’occhio a Lady Macbeth: donna ambiziosa, il cui desiderio è sempre stato quello di essere regina e madre, ma non regina-madre. È infatti in questo assioma che trovano spiegazione i rapporti con il figlio e con il secondo marito, Claudio, sposato per “realpolitik”, per evitare di cadere ancora giovane in secondo piano, dopo l’uccisione di Amleto padre. Anzi, è forse proprio contro il primo marito che scaglia le parole più dure, accusandolo di non essersi voluto rassegnare alla tomba e di aver voluto a tutti i costi vendicare la sua regalità anche da morto, avvelenando l’orecchio del figlio con Parole di sospetto nei confronti dello zio,  in una sorta di ribaltamento dei ruoli.
Più sfumato il finale in cui emerge quella fragilità “il cui nome è donna”, come ebbe a scrivere Shakespeare, ed in cui affiorano anche i dubbi e le incertezze, inevitabili per un personaggio così complesso.
Sola in scena Laura Piazza si disimpegna abbastanza bene nella non facile scrittura, alternando passaggi in cui la declamazione del testo si concentra più sul suono che sul senso, ad altri in cui la figura della regina emerge in modo più netto e sbalzato.
Nonostante si tratti di un testo prettamente di parola, Filippo Renda è riuscito a creare uno spettacolo di grande impatto visivo.
Efficace la scenografia di Eleonora Rossi, dominata da un lucernario che separa il mondo dei vivi da quello dei morti e che Ghertruda attraverserà nel finale. La stessa Rossi firma anche i costumi, sfarzosi ed eccessivi la cui ispirazione va da funeree madonne del barocco siciliano ad un mozartiano Papageno in versione dark.
Ben disegnate  le luci di Cesare Agoni e molto intriganti le coreografie di Alessandra Bordino, grazie alle quali i vari cambi d’abito si trasformano in suggestive videoclip sulle musiche di Edoardo Chiaf.
Un progetto coraggioso quello intrapreso dal CTB, dato che la poesia gode di poca fortuna sui palcoscenici italiani,  che tuttavia il pubblico ha dimostrato di apprezzare tributando applausi convinti e chiamando più volte i protagonisti alla ribalta.

Visto il 22-02-2016