Certe (pessime) abitudini sono dure a morire. Le peggiori poi, probabilmente, sono quelle le cui conseguenze riguardano anche gli altri. Una di queste è la maldicenza o, in termini più lievi, la tendenza a storpiare i nomi di persone ‘colpevoli’ di essere ‘diverse’, a giudizio di una massa che si muove, pensa, dice cose “tanto per”. Fiera quasi di agire come una mandria di pecore al pascolo - tanto nel mucchio ci si confonde e non si vede la mano che ha lanciato la pietra - orgogliosa della propria ignoranza e grettezza, da esporre con arrogante violenza e prepotenza non solo verbale, la “gente” rivendica così un’identità che, altrimenti, non riuscirebbe a manifestare. A scomodare Pavese ‘lavorare stanca’, meglio puntare il dito o guardare di traverso: l’intimidazione ha sempre presa, in un mondo dominato dall’incertezza.
Giacomina, o Giacominazza come gli ‘illustri’ compaesani la definiscono all’indomani della ‘sconveniente’ rivelazione - fare coming out non è pratica tanto facile, soprattutto in certi ambienti - vive i dubbi e i tormenti che ti regala un amore appena sbocciato, omosessuale per giunta, in una realtà di provincia. Bando però ai luoghi comuni: anche le metropoli non sono esenti da meschinità che assumono solo forme e dimensioni diverse, generando lo stesso dolore e smarrimento. La storia di Giacomina tuttavia si svolge in un paese siciliano, nel bel mezzo della festa di San Giovanni ma, a differenza di quella del santo, la sua è una “processione che non cammina”. L’inquietudine che prova la spinge a chiedere aiuto a Mariannina, la maga delle parole, una cartomante di professione ma forse più per convenienza, che faticosamente si è ritagliata una nicchia in un mondo ottuso e pieno di pregiudizi, per sopravvivere e manovrare, a suo dire, i destini altrui senza dare troppo nell’occhio. Due anime diverse, differenti tra loro ma soprattutto da tutti gli altri, che rifiutano la convenzionalità, la normalità abusata e imposta, che lottano o hanno lottato per manifestare la propria individualità, pagando un prezzo.
Potrebbe sembrare un lugubre racconto, dominato da rassegnazione e ineluttabilità, ma la storia scritta e diretta da Luana Rondinelli si muove agile tra vari registri, passando dal riso alla commozione. I due personaggi sono ben disegnati, i dialoghi - anche se non sempre totalmente comprensibili per via di un dialetto stretto e veloce - sostengono il ritmo dello spettacolo, conducendo lo spettatore alla fine senza un attimo di noia. Mariannina è un piccolo capolavoro di sagacia, saggezza popolare e opportunismo, “pittata e impupata” ma non pacchiana: a dispetto dell’immagine, la donna è al tempo stesso scaltra ma non perfida, attacca e ironizza sarcastica ma si mostra comprensiva e accogliente, lapidaria nelle sue filastrocche che abbindolano e confondono, nella cui musicalità però si nascondono oltre che amarezza anche spietate verità. Tenera e intensa è invece la Giacomina di Melania Genna, impregnata di quella dolente umanità spesso rifiutata, capace di emozionare in modo genuino, agendo empaticamente, solleticando corde sensibili e toccando temi come la libertà di essere se’ stessi, ancora estremamente attuali.