Al momento di riempire un'unica serata con due brevi composizioni teatrali, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Si potrebbe persino farne un gioco di società, trovando accostamenti per affinità ("L'Enfant et les sortilèges" di Ravel e il "Diavolo nel campanile" di Lualdi, volendo puntare sulla magia), o per nazionalità ("Mavra" di Stravinskij e "Kaščej" di Rimskij-Korsakov, giocando sul colore russo), o di genere come "Mala Vita" di Giordano e "Zanetto" di Mascagni, per restare in area verista. Si potrebbe anche puntare sui contrasti di carattere dramma/farsa, o sull'epoca di composizione riunendo ad esempio due intermezzi settecenteschi. Le possibilità di combinazione sarebbero pressoché inesauribili, tanto che a volte le scelte operate dai teatri non paiono del tutto comprensibili, come nel caso della recente accoppiata modenese tra il nuovissimo "Risorgimento!" di Ferrero e "Il prigioniero" di Dalla Piccola. Non è per fortuna il caso di questo dittico triestino, che riunisce il primo, vero successo del Menotti compositore - "La medium", presentata a New York nel 1946 - con "Gianni Schicchi", il più frequentato dei capitoli del Trittico pucciniano. Non tanto per l'opposto climax che pervade le due brevi opere - cupo ed opprimente nella prima, giocoso e finemente ironico nell'altra - quanto per quel ben visibile filo logico che lega il plot di entrambe: cioè la morte e l'inganno, strettamente intrecciati tra loro. Madama Flora è una falsa medium, che approfitta cinicamente della credulità altrui: i suoi clienti la scelgono per dialogare con i propri defunti ma voci, luci e rumori nelle sue sedute sono prodotti ad arte dalla figlia Monica e dal muto Toby. Anche Gianni Schicchi è un truffatore, ma nel tempo stesso ci pare un simpatico malandrino: e quando si burla della morte, e pigliando il posto del defunto Buoso Donati inganna il notaro al quale detta il falso testamento che consegna la successione agli avidi parenti (ed il meglio dell'eredità a sé stesso), ci fa rammaricare per il destino che gli riserva il grande Dante, il quale lo spedisce dritto dritto all'Inferno nella bolgia dei falsari.
Il regista Giulio Ciabatti e lo scenografo Pier Paolo Bisleri avevano già affrontato nel 2002 al Verdi di Trieste la tragedia di Menotti, con buon esito; ma dovendo qui fare i conti anche con Puccini hanno messo in piedi idee del tutto nuove. Di base è stata ideata una scena unica che, con gli opportuni aggiustamenti, servisse per entrambe le vicende: di qui una semplice spartizione del palcoscenico in due spazi orizzontali e due verticali, tra loro affiancati. Congrua come soluzione visiva, facilitava molto il lavoro di Ciabatti che, quanto a cura espressiva e scioltezza, ed impatto scenico, non presentava mende. Aggraziati i costumi di Giuseppe Palella che ha collocato tutti in una vaga epoca novecentesca.
Tiziana Fabbricini ha tratteggiato con estrema espressività l'invasata, delirante Madame Flora; intensa nella parte di Monica la giovane Diletta Rizzo Marin, e toccante il suo "Monica, Monica, tu non vedi" (l'unico duetto d'amore di un'opera cantato da una persona sola, come ha annotato John Ardoin). Efficace il mimo Giulio Cancelli in quella di Toby, positivo l'apporto di Ilaria Zanetti e Giulio Pelizon (i coniugi Gobineau) e di Annika Kaschenz (Mrs. Nolan).
Nicola Alaimo è parso uno Schicchi travolgente, corposo e rotondo: naturale nell'espressione, nel canto, nella parola, nella grandissima comunicativa. Un pizzico di zolfo e di mercurio in più, e saremo su livelli d'eccellenza. Lo stuolo dei lividi ed avidi parenti era formato da Giovanna Lanza (Zita), Francesco Piccoli (Gherardo), Ilaria Zanetti (Nella), Federico Benetti (Betto), Giuliano Pelizon (Simone), Federico Longhi (Marco), Annika Kaschenz (Ciesca). I due innamorati, Rinuccio e Lauretta, erano Atalla Ayan e Diletta Rizzo Marin: musicalmente ineccepibili, scenicamente perfetti nella loro adolescenziale tenerezza; di qui un Inno a Firenze esaltante per luminosità, e un Oh! mio babbino caro candido e freschissimo.
L'orchestra del Teatro Verdi era diretta da un altro giovane, Matteo Beltrami: polso fermo, ritmo fluido e articolato, giusta attenzione ai colori.
Lirica
GIANNI SCHICCHI - THE MEDIUM
Schicchi e la Medium
Visto il
al
Verdi
di Trieste
(TS)