Sigla il Mittelfest 2020 di Cividale del Friuli un'opera multimediale in prima assoluta, coprodotta con l'Agjenzie regjonâl pe lenghe furlane, ente di tutela della lingua furlana. E' un lavoro ideato da Marco Maria Tosolini in collaborazione con Paolo Antonio Simioni per i testi, e con Carlo Della Vedova per la regia. Avrebbe molte pretese, come emerge dalla presentazione del suo primo autore, ma a noi pare non troppo riuscito.
Un Prologo, otto Misteri, un Epilogo
Giorgio Mainiero, un misteri furlan ha il placido andamento di certi documentari d'arte, perché in buona parte consiste in video di aerei paesaggi, ed immagini di quadri antichi e moderni, alternate di continuo a scene recitate o mimate - anche con lo solo sguardo – però sempre in videoripresa. Solo alla fine diventa vero teatro di parola: cioè quando il protagonista – lo stesso Paolo Antonio Simioni – appare brevemente in persona, per cedere subito la scena al contadino Orso Zanutto – l'attore Nauli Pauli - cui è affidata la sarcastica conclusione della piéce.
Tutto sempre accompagnato da effetti sonori e da basi registrate, integrate dal vivo da Fabio Accurso, Musico del Tempo antico in velluti cinquecenteschi (liuto, flauti, salterio) ed Angelo Comisso, Musico del Tempo ulteriore, alla tastiera elettronica.
I dialoghi sono quasi sempre in lingua friulana, ovviamente incomprensibile a noi forestieri: senza sottotitoli, ci viene così preclusa la piena comprensione dello spettacolo. Poco conta che a posteriori il testo sia stato reso disponibile, con opportuna traduzione, sul sito dell'Agjenzie di cui sopra.
Una vita piena di sussulti e devianze
Lo spettacolo ripropone la figura di Giorgio Mainerio, nato a Parma nel 1535 e morto ad Aquileia nel 1582 dopo aver vissuto a lungo ad Udine. Musicista di valore e prete (“reverendo non sempre riverito”, si definisce), un po' eretico e forse negromante. Personalità complessa, emblematica di un'epoca attraversata da intensi fermenti culturali, e di una terra squassata da eresie e devianze religiose – rievocata già nell'opera Menocchio di Renato Miani, Mittelfest 2017 - Mainiero conobbe fama europea per il suo Primo libro de’ balli, edito a Venezia nel 1578, pur avendo composto molta musica sacra.
Attirò l'attenzione della Sacra Inquisizione per certi atteggiamenti troppo disinvolti, e per le denunzie di praticare arti occulte. Benché prosciolto nel 1563 da ogni accusa, rimase sempre sotto l'occhiuta sorveglianza di autorità dal perdono corto e dalla memoria lunga.
In questo Misteri furlan lo vediamo risalire meditabondo il Tagliamento, alla ricerca del conforto di un santo eremita che si rivelerà, alla fine, un balordo truffatore. Incontra una guaritrice che sanerà la sua gamba piagata (la Puta Nera, femina de selva interpretata da Gianna Barbicetto), sgombrando dalla sua grotta il benandante Orso Zanutto che la tormenta.
Lo troviamo a duellare verbalmente, nel sogno, con l'inquisitore Fra' Felice da Montefalco - l'attore Massimiliano Sassi – che vedremo soccombere – sempre nel sogno - all'incanto ammaliatore della Agana: nella fantasia popolare alpina, una magica creatura delle acque, qui con il corpo di Martina Buttazzoni e la voce di Paola Bacchetti.
Troppa carne al fuoco, troppa frammentarietà
Da rimproverare è l'eccessiva frammentarietà dello spettacolo, frazionato nell'ora di durata in un Prologo, un Epilogo, in mezzo otto quadri definiti “Misteri”. Uno dei quali dedicato a “la stranezza de li furlani”, un altro ad un bimbo smarrito e ritrovato; uno “ove magie naturali e riti antichi confondono magisteri”, un altro “ove i canti et i balli et tuti li soni de lo mundo hanno zoia”.
E poi infastidisce l'invadenza di troppe immagini estetizzanti – i panorami naturali, i monti, le acque, le immagini di santi e martiri tratte da quadri antichi – inquadrate da un'immensa cornice. Ma sopra tutto nuoce una drammaturgia debole e superficiale, di stampo filosofico/intellettualoide che solo in rari momenti ci coinvolge ed attira il nostro interesse.
Da ultimo. Scrivere nello scarno programma di sala d'aver omesso i sottotitoli in italiano perché «danneggerebbero l'estetica e l'intensità narrativa», ci pare un assunto delirante.