Giovanna d'Arco torna alla Scala dopo 150 anni: a seguire la prima assoluta del 15 febbraio 1845 si annoverano soltanto due altri allestimenti nel 1858 (ancora il 15 febbraio) e nel 1865. E dire che la partitura, pur non figurando tra le migliori, presenta motivi di interesse, a cominciare dalla sinfonia e da diversi spunti poi sviluppati successivamente da Verdi. Prima di lui, altri avevano scritto opere sulla Pulzella di Orléans, il tolentinate Nicola Vaccaj fra questi; ma Verdi e il suo librettista Solera si concentrano sul lato umano più che su quello patriottico. Sostanziali le differenze con il dramma di Schiller: Giovanna non si innamora di un soldato inglese ma del re Carlo VII, il padre sospetta un patto demoniaco della figlia e si allea con gli inglesi per questo, le voci che Giovanna sente la spingono non solo alla guerra di liberazione ma anche verso un amore terreno, Giovanna prova nostalgia per la vita di campagna nella casa paterna. Di grande interesse, nel programma di sala, il saggio di Vito Mancuso che, partendo dai due processi meticolosamente verbalizzati, analizza la figura della Santa guerriera in modo puntuale e attuale. Molto utile l'incontro di preparazione, prima di ogni replica nel foyer, con Franco Pulcini che ripercorre la storia della vita di Giovanna, le vicende della partitura e i dettagli del presente allestimento.
Moshe Leiser e Patrice Caurier hanno il grande merito di rendere credibile e coerente il libretto e muovono i protagonisti in modo profondamente teatrale, creando uno spettacolo appassionante e di grande potenza drammaturgica. Nelle intenzioni dei registi siamo nel primo Ottocento in una camera da letto in stile sobriamente Biedermeier, dove viene curata una giovane affetta da patologia mentale con deliri e visioni al punto da sentire le voci e immaginare sé stessa come Giovanna d'Arco. L'idea e l'ambientazione rendono credibili le incongruenze del libretto e i salti narrativi del plot, che invece si adattano perfettamente alle fantasie oniriche di una donna in cura psichiatrica. Così la tensione bipolare, dominata dall'ingombrante presenza del padre (senso di colpa), tra l'immaginario della guerriera e quello della donna, viene resa magistralmente visibile grazie ai video di Étienne Guiol proiettati sulle pareti della camera: scene di battaglia al rallentatore, immagini carnali pudiche e dettagliate, veli con simboli cristologici e mariani che tentano di coprire i corpi concupiscenti, fucine col fuoco purificatore, ombre minacciose e incombenti. La bella scena di Christian Fenouillat è praticamente fissa e quasi vuota: la camera da letto della giovane dove, nella scena dell'incoronazione, sale la facciata di una cattedrale gotico-francese che poi precipita nel fuoco. I costumi di Agostino Cavalca documentano l'ambientazione nell'epoca indicata e in una provincia agreste e calcano sulla finzione delle scene medioevali (il re d'oro e le armature cromate). Perfette le luci di Christophe Forey a rendere il clima ossessivo e anti-naturalistico. Adeguate le coreografie di Leah Hausman.
Riccardo Chailly dirige la partitura secondo l'edizione critica mai eseguita, esaltando l'energia ritmica battagliera giustificata dalla storia e la schiettezza popolare di alcuni passaggi ma, al tempo stesso, non tralasciando la dimensione lirica ed epica che pure la regia lascia in secondo piano, mentre il direttore ne coglie ogni aspetto in mirabile fusione. Ascoltando quei ritmi forti e baldanzosi si comprende bene come essi abbiano risvegliato lo schietto eroismo del popolo italico frammentato e indebolito. L'Orchestra della Scala è in stato di grazia con gli archi che raggiungono la perfezione nelle ondate sinistre da incubo o follia.
Il coro ha una parte rilevante: Giovanna d'Arco rappresenta la fusione tra l'opera-personaggio (Ernani) e l'opera corale (Nabucco e Lombardi) e il coro è variegato, dovendo rappresentare da un lato i soldati in disfatta e dall'altro un esercito vittorioso, eppoi le voci angeliche e, nel contempo, le voci passionali in un gioco vocale quasi camaleontico. Il Coro della Scala, preparato da Bruno Casoni, è perfetto, esprimendo benissimo i tanti personaggi differenti contenuti nella partitura.
Anna Netrebko si è rivelata la protagonista ideale per temperamento e vocalità grazie all'evoluzione della sua voce che, inscurita e ispessita (cosa che crea emozionanti nuance di colore), è rimasta agile in alto ed è potente nei registri centrali, rendendo una Giovanna sognante e verista al tempo stesso: lo slancio con cui affronta ogni pagina la rende davvero irripetibile, tale è l’opulenza vocale, la bellezza timbrica, il pathos sensuale, il fuoco che la voce emana, al punto che ammalia con il pieno controllo delle mezzevoci e della dinamica, per non dire della tornitura del verso (non nascondiamo di provare per le doti sceniche e vocali della cantante forte ammirazione). Forza e squillo sono presenti anche nelle voci maschili, accanto alla perfezione attoriale. Francesco Meli, seppure “irrigidito” dal costume dorato, ha voce di grande volume sempre controllata e riesce anche a squillare in modo limpido, passando poi a un registro centrale di grande dolcezza; altro fondamentale motivo di interesse sono i colori e le sfumature per tratteggiare un re Carlo sognante e contemplativo, accentuato in questo caso dall'essere egli frutto delle visioni della protagonista. Carlos Àlvarez è bravissimo dovendo, dal punto di vista attoriale, mostrare quando è sognato da Giovanna oppure quando è il padre Giacomo in carne e ossa; la voce riesce a infondere al personaggio un grande spessore espressivo, eccellendo in doti di morbidezza di emissione e raffinatezza di canto. Adeguati, nei marginali ruoli di contorno, Dmitry Beloselskiy (Talbot) e Michele Mauro (Delil).