Parma, teatro Regio, “Giovanna d'Arco” di Giuseppe Verdi
GIOVANNA NEL RISORGIMENTO
Personaggio frequentato in questo autunno, Giovanna d'Arco ha aperto la stagione di Santa Cecilia (“Giovanna d'Arco al rogo” di Honegger, direttore Antonio Pappano – recensione presente nel sito) ed il Festival Verdi, nella vincente idea di assegnare l'avvio a Parma a titoli meno frequentati (l'anno scorso Luisa Miller, allestimento Denis Krief, direttore Bruno Bartoletti). Settima opera del compositore di Busseto, Giovanna d'Arco segna il distacco con la Scala, a cui torna dopo quarant'anni con Otello. Opera permeata di impeto guerriero, unisce trovate romantiche (anticipazioni naïve del Macbeth), scene di massa di grande potenza e un carattere femminile che è uno dei più riusciti prima di Violetta. La partitura è evidentemente del primo Verdi ma ha dentro cose di valore, premonitrici del Verdi futuro, come il duetto fra Carlo e Giovanna “E' puro l'aere, limpido il ciel”.
Questa Giovanna non muore sul rogo ma in battaglia, poi sembra risvegliarsi per cantare il suo addio alla vita, una “assunzione in cielo” come nella cupola del duomo affrescata da Correggio, indimenticabile visione consentita fino al 25 gennaio 2009. In teatro il sole diventa, nel finale, il solo elemento scenico, che tramonta verso la notte, mentre l'anima di Giovanna ascende, sorge.
Il regista Gabriele Lavia cerca la chiave di lettura nel Risorgimento, sia per la morte della protagonista sul campo di battaglia, come appena detto, sia per l'epoca della composizione. Il riferimento è visivo, una carica di cavalleria sabauda, immagine pittorica che accompagna la rappresentazione, dal sipario alle quinte che scivolano da una parte all'altra per consentire rapidi cambi di scena. Ma l'idea non convince, anche perchè rimane una cornice avulsa dal contesto, in quanto la messa in scena è nell'epoca quattrocentesca. Il dato temporale è nei costumi molto ricchi e curati, visti con occhi moderni e declinati nel colore monocromo terragno. Le scene di Alessandro Camera richiamano il plot e al tempo stesso ricreano ambienti rarefatti: particolarmente azzeccato il grosso ramo di quercia che pende dall'alto, triste e incombente, che poi si infiamma di foglie rosse autunnali che piovono a terra come petali. Le luci di Andrea Borelli sottolineano i cambi di climax della vicenda ed amplificano la tensione drammatica. Lavia è uomo di teatro espertissimo e nella gestualità trova la giusta efficacia, seppure mi è parso eccessivamente illustrativo il continuo ricorrere a vessilli e punte di lancia. Invece convincente l'evocazione degli spiriti, i malvagi che incitano Giovanna ad abbandonare le virtù e seguire gli istinti della carne in costumi irsuti e teste cornute, gli eletti che la indirizzano al cammino di santità biancovestiti e velati come le vergini in processione di Previati: bianco e nero, luce ed ombra.
Ottima la direzione orchestrale di Bruno Bartoletti: dopo i tempi serrati dell'ouverture, ben suonata da un'orchestra particolarmente affiatata, il Maestro sceglie tempi dilatati che gli consentono di affrontare i nodi della partitura sciogliendoli in occasioni di riflessione. I momenti più lirici ed ariosi sono messi in giusto risalto grazie a una equilibrata ed elastica dinamica frutto della veterana esperienza di Bartoletti, che ha diretto la partitura facendone scaturire tutto il colore, il vigore e l'energia e compensando con l'unità di direzione i limiti del Verdi giovanile. La musica fluisce sontuosa, esaltata nei momenti cabalettistici (che sanno di sapore risorgimentale) come anche nelle parentesi più dolci e romantiche, in cui la vicenda, interiorizzandosi, si fa soave, leggera e, al tempo stesso, piena di significato. Bartoletti, intelligentemente, non cerca di giustificare le ingenuità verdiane, ma le inquadra nella totalità della scrittura musicale.
Buona la prova del coro, preparato da Martino Faggiani e non secondario nella riuscita della rappresentazione.
Delude Svetla Vassileva, acclamata Violetta al Festival dell'anno scorso e vincitrice del prestigioso premio Abbiati. Giovanna è parte scomoda ed impervia di repertorio belcantista che evidentemente non le si addice, col risultato di agilità stridule, suoni gridati e una propensione a cantare tutto forte spingendo troppo la voce; meglio i recitativi ed i momenti di effusione lirica. Il soprano compensa a livello interpretativo, creando un personaggio di forte impatto drammatico, giustamente estremo, sospeso fra lirismo ed isteria, sempre sostenuto da una passione indomita. Applaudita, seppure con poca convinzione, alla recita del 17 ottobre, la cantante è stata fischiata alla prima dal loggione: ci si chiede perchè non sia stato fischiato anche Evan Bowers, un Carlo corretto nell'intonazione ma anonimo e incolore dal punto di vista vocale ed interpretativo, che non spicca per bellezza di timbro, dalla voce ingolata e poco proiettata e da una dizione imperfetta che pesa ancor di più nel festival verdiano.
Renato Bruson, nonostante limiti nel registro acuto e suoni talvolta sfocati e poco sostenuti, risulta il trionfatore della serata per lo stile di canto, la bellezza dei recitativi, la proprietà degli accenti, il canto aristocratico intriso di lirismo e di autentico pathos, che conferiscono verità alla controversa figura del padre di Giovanna, particolarmente congeniale al baritono per la dolcezza mista a una ruvida severità. La scrittura vocale di Giacomo, infatti, ha in sé parecchio di donizettiano e consente quindi di valorizzare al meglio le doti di morbidezza e aristocraticità della voce di Bruson.
Di scarso interesse i ruoli minori: Maurizio Lo Piccolo è un Talbot generico, la parte di Delil è troppo modesta per valutare Luigi Petroni
Pubblico tiepido, applausi deboli per tutti, più convinti per Bruson. Teatro esaurito.
Visto a Parma, teatro Regio, il 17 ottobre 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
(con la collaborazione di Ilaria Bellini che ha assistito alla serata inaugurale del primo ottobre)
Visto il
al
Regio
di Parma
(PR)