Giulietta e Romeo di Nicola Zingarelli è un'opera basata su di un aulico libretto del Foppa zeppo di quartine alla Metastasio che, attingendo direttamente alla cinquecentesca novella di Luigi Da Porto, tiene poco da conto Shakespeare. Dopo la prima alla Scala di Milano (1796), godette di larga circolazione per oltre un ventennio, cedendo poi il posto all'omonimo lavoro di Vaccaj e Romani (1825). Che un lustro dopo – ironia della sorte – venne a sua volta accantonato da I Capuleti e i Montecchi di Bellini. Tre lavori che, curiosamente, vedono sempre però una donna – od un sopranista - nei panni maschili di Romeo. Custode della scuola musicale napoletana, Zingarelli non perse di vista tuttavia i più ampi orizzonti europei; e se nel facile e patetico melodiare non si discostò dalla tradizione italiana, nelle ariose strumentazioni tenne buon conto dei modelli del classicismo viennese – vicino in questo più ad Haydn che a Mozart - come si evince già dalla leggera e sfavillante Sinfonia di quest'opera considerata l'apice della sua carriera di compositore. Ma che mostra, oggi, più il saldo possesso del mestiere che franca e passionale inventiva.
Un'opera da poco tornata in vita
Relegata nei dizionari di musica per due secoli, Giulietta e Romeo di Zingarelli è riapparsa in forma concertistica a Salisburgo nel 2016, diretta da George Petrou e con il contratenore Franco Fagioli quale Romeo. Scelta non casuale, perché tale figura ancor prima d'essere vanto di celebrate gole femminili (Malibran e Pasta in primis) fu appannaggio di castrati quali Girolamo Crescentini - suo primo creatore - e Giambattista Velluti. Nella prima delle due nuove produzioni liriche del 2017 messe in cantiere dalla Fenice in collaborazione col Conservatorio “B. Marcello”, Romeo torna però ad una donna, qui il soprano moldavo Violeta Grecu. Personalità invero interessante e da tenere d'occhio. Con lei sono in scena la delicata Giulietta di Cecilia Gaetani, la buona Matilde di Arianna Cimolin, l'impettito Everardo di Diego Rossetto, il Tebaldo di Safa Korkmaz. Tutti, ovviamente, allievi dell'Istituto veneziano. Maurizio Dini Ciacci ha concertato con lievità e savia scorrevolezza l'Orchestra del Conservatorio; maggior cura avrebbe però voluto il piccolo coro maschile.
La prima rappresentazione scenica dopo due secoli di oblio
Presentato nella trascrizione moderna di Carlo Emilio Tortarolo – tre atti condensati in un unico di 90 minuti senza pause drammatiche, vi manca il giusto respiro – ha goduto della concitata regia di Francesco Bellotto che piazza gli strumenti sul palcoscenico, portando gli interpreti in un quadrato a centro sala o direttamente tra il pubblico. Spettacolo low budget: abiti odierni di Carlos Tieppo, a distinguere Cappellio e Montecchio solo una differente sciarpa al collo; scenografia di Massimo Checchetto, luci di Vilmo Furian.
(Foto Michele Crosera)