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GIULIO CESARE - PEZZI STACCATI

Pezzi pregnanti per la Socìetas Raffaello Sanzio

Pezzi pregnanti per la Socìetas Raffaello Sanzio

Giulio Cesare - Pezzi staccati è un riadattamento della performance Giulio Cesare. Tratto da Shakespeare e dagli storici latini del 1997 della storica Socìetas Raffaello Sanzio a cura della stessa compagnia. Romeo Castellucci ha dichiarato di non aver provato dolore nel fare a pezzi questa performance (sarebbe stato più doloroso il contrario, cioè ripeterla così com’era stata concepita) e ce la restituisce con l’intensità tipica dei suoi lavori e una ricerca estetica e drammaturgica ben precisa.

Primo quadro: all'origine delle parole
L’apertura del sipario è sostituito da uno sparo molto forte rivolto al pubblico, che lo richiama all’attenzione e sembra dire: comincia. Il primo quadro è dominato da ...vskij, personaggio che richiama a uno dei padri fondatori del teatro, che avvolto in una tunica bianca si pone al centro dello spazio e con precisione chirurgica pulisce una telecamera endoscopica, prima di infilarla nella sua cavità nasale fino alla glottide. Il viaggio del sondino si conclude alle corde vocali e il discorso di ...vskij ha inizio. Esso rimprovera un ciabattino vestito a festa per il ritorno di Giulio Cesare, mentre sullo sfondo si muovono e contorcono le sue corde vocali, simili ad una bocca o ad una vagina pulsante. Siamo all’origine della parole, che è non è più l’interiorità dell’attore (come direbbe Stanislavkij), ma l’interno organico dell’attore.

Secondo quadro: actio muta
Il secondo momento è dominato dal monologo muto di Giulio Cesare. I suoi passi e movimenti sono accompagnati da suoni, e più i gesti si fanno ampi e il discorso si infervora, più il volume è altro. Si elogia una parte fondamentale ma spesso sminuita dell’arte retorica, cioè l’actio, che si occupa dell’impostazione della voce, della modulazione dei toni e dell’organizzazione dei gesti che accompagnano ogni singola parola. L’oratore e l’attore si avvicinano qui nel loro arduo compito di concertare corpo e parole in maniera coerente e convincente, anche se il primo appartiene alla realtà ma dice spesso cose false, mentre il primo appartiene all’ambito della finzione, ma è capace di dire cose più vere della realtà stessa. Dietro al retore campeggia un possente cavallo nero, e sul suo fianco sono dipinte le parole Mene, Tekel, Peres, dal libro di Daniele: "Dio ha computato il tuo regno e vi ha posto fine; tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante; il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani". Giulio Cesare è un dittatore sconfitto, muto, carne da macello trascinata tra il pubblico.

Terzo quadro: la parola come ferita
L’ultimo quadro, certo il più impressionante, ha come protagonista Marco Antonio, interpretato dall’attore laringectomizzato Dalmazio Masini. La sua tecnica fonatoria è compromessa e parla con la tecnica esofagea. A lui è affidata la parte più commovente del dramma shakespeariano, cioè il discorso funebre per Giulio Cesare. Le sue parole escono letteralmente da una ferita inferta al suo corpo e allo stesso tempo sono dettate da una ferita del cuore, cioè la perdita di Giulio Cesare. 

La Socìetas Raffaello Sanzio in questo Giulio Cesare sceglie di mettere l’accento sull’importanza della retorica e sulla debolezza del corpo come fabbrica della parola, indagata dalle sue origini e dalle sue mancanze, come nel caso della parola senza suono di Giulio Cesare e di Marco Antonio.

Visto il 17-03-2016
al Crt - Teatro dell'Arte di Milano (MI)