Urbisaglia (MC), anfiteatro romano, “Giulio Cesare o della congiura” di William Shakespeare
URLA NEL SILENZIO
Testo politico e umano, arduo da mettere in scena, Giulio Cesare disegna, più che la parabola dell'uomo (che peraltro viene ucciso quasi all'inizio dell'azione), la congiura che viene ordita, il nascere, il concretarsi dell'omicidio, lo sviluppo nella società e nell'animo di coloro che l'hanno ideata e che vi hanno partecipato. Al centro del dramma la ripetizione della storia che gli uomini sono costretti a subire.
Su semplici pedane sovrapposte, ma nell'affascinante scenografia dell'anfiteatro romano con la sua corona di querce, gli attori vestono orribili divise moderne su cui sono drappeggiati pepli di stoffe mimetiche, non si comprende se per richiamare l'epoca classica o per giustificare l'inserimento del dramma in rassegne che all'antico si richiamano, come appunto il TAU.
La recitazione è giocata sull'enfasi, se non sul grido, ma l'impressione è che il tutto non sia voluto dal regista ma che sia l'unica cosa possibile a chi è sul palcoscenico. Si duella con fioretti che fendono l'aria e che non c'entrano nulla con il tempo e con le parole, a meno che non si voglia far passare lo scontato accostamento con il “duello verbale” (ma allora bisogna leggere Sàndor Màrai e il suo “Le braci” pubblicato da Adelphi: solo così l'espressione ha un senso). L'affrontarsi in duelli crea una “sfasatura” perchè non si fornisce adeguato sostegno verbale e recitativo, non si sottolineano angosce e turbamenti né si riesce a rendere credibile il percorso dei personaggi.
Leandro Amato è un Bruto poco ricco di colori, che esprime solo una ingiustificata rabbia e nessuna evoluzione interiore. Il Cesare di Renato Campese parla con andamento spigoloso ma è l'unico a mostrarsi credibile. Edoardo Siravo è un Marc'Antonio privo di rilievo. Con loro Massimo Reale, Andrea Bacci, Gigi Palla e Maurizio Panici, anche regista dello spettacolo nonché adattatore del testo.
Testo molto ridotto, un'operazione chirurgica che ha voluto lasciare i tratti salienti dei personaggi (il plot non c'è): l'invidia di Cassio, il tormento di Bruto, la maestà dignitosa di Cesare, la volubilità di Antonio che sfoggia un immancabile cappotto di pelle nera.
Ma la rappresentazione risulta completamente priva di atmosfera e non trasmette emozioni, tanto che si fatica a seguire la traccia del racconto storico e letterario: non si corre il rischio di addormentarsi solo perchè tutto è urlato, senza badare alle variazioni di tono ed ai sentimenti da esprimere.
Poco pubblico, rimasto fino alla fine per mancanza di intervallo; applausi tiepidi e di circostanza, prima della corsa a recuperare le macchine al parcheggio per dimenticare quelle urla nel silenzio del parco archeologico di Urbisaglia. La rassegna prosegue con Edipo e la Pizia (Lucia Poli e Giorgio Rossi), Amore e Psiche (Beppe Barra e Andrè De La Roche) e Le rane (EcateTeatro).
Visto ad Urbisaglia (MC), anfiteatro romano, l'11 luglio 2008
Francesco Rapaccioni
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(RM)