Le ninfe Clori e Lisetta sono due sorelle, entrambe innamorate del pastore Eurillo; questi però ricambia d'amore solo la prima, benché abbia l'animo roso da un'ingiustificata gelosia. Così quando Lisetta - la più giovane delle due - per dispetto aggiunge il nome di un altro pastore in testa ad una lettera che Clori gli ha scritto al fine di rassicurarlo della sua fedeltà, ecco che il rovello di Eurillo divampa violentemente; ed egli respinge sdegnato l'amata, lasciandola interdetta e disperata. Giunge nella selva un giovane straniero, Armindo, il quale altri non è che il gemello di Eurillo; rapito ancor bambino, è perciò sconosciuto a tutti. L'ovvia somiglianza è tale che viene scambiato per Eurillo da una e dall'altra delle sorelle, facendo nascere una serie di bisticci amorosi e di fraintendimenti di persona – Gli equivoci nel sembiante citati nel titolo – che generano non pochi garbugli nell'agreste selva dove vivono i nostri personaggi. Meno male che, alla fine, gli equivoci si risolvono col reciproco riconoscimento dei due fratelli – in questo caso, grazie all'anello che entrambi portano al dito - generando così duplici nozze: quelle di Clori con Eurillo, e di Lisetta con Armindo.
Questa la tenue trama della commedia pastorale messa in musica da un giovanissimo ed esordiente Alessandro Scarlatti, da poco giunto dalla natia Sicilia in una Roma dominata dalle figure carismatiche di Carissimi, Stradella e Corelli. Non era passato molto tempo dal suo arrivo, che nel 1679 gli pervenivano di già due importanti commesse. Una, l'oratorio quaresimale per la potentissima Arciconfraternita del SS.Crocefisso, del quale non ci è pervenuto né titolo né soggetto, e che sarà il primo dei tanti lavori scritti per committenti romani, in un ambito del quale diverrà insuperato maestro. L'altra, un'opera da rappresentarsi nel teatrino privato di Palazzo Contini – ricordiamo che gli allestimenti pubblici di melodrammi erano in quei tempi proibiti nella Città Pontificia – sulla scorta di un libretto steso da un membro della famiglia, l'abate Domenico Filippo Contini. Ed era la commedia in tre atti e quattro personaggi Gli equivoci nel sembiante, ovvero L'errore innocente, con la quale il diciannovenne musicista poté comporre la sua prima vera opera – la precedente Arminio era solo un pastiche – che incontrò subito un successo assai lusinghiero. Gli equivoci nel sembiante venne infatti subito replicata a Palazzo Farnese e Palazzo Chigi, e in seguito portata in scena in vari teatri italiani ed europei, contribuendo con il suo grande successo a proiettarne l'autore in ambito internazionale.
Alessandro Scarlatti si applicò infatti non solo con buon mestiere, ma anche con fantasia ed intelligenza alla garbata commedia pastorale dell'abate Contini, esemplata sui lavori del Tasso e del Guarini, innestandovi musiche fresche ed estremamente piacevoli, che tuttavia – secondo la drammaturgia dell'epoca - non ignorano mai la piena sudditanza verso la parola. Non sarà sempre così: nel percorso che di qui porterà alla Griselda del 1721, l'ultimo suo lavoro teatrale pervenutoci, ritroviamo in effetti tutto l'evoluzione del melodramma italiano tra Sei e Settecento, dagli ultimi bagliori del “recitar cantando” avviato da Monteverdi e Cavalli - dove ancora parola e musica si fondono nelle corde di cantanti/attori - sino al primo affermarsi del predominio dei grandi virtuosi - castrati in primis - che nelle loro interpretazioni desiderano solo rifulgere e stupire con pirotecniche acrobazie vocali, rinnegando qualsivoglia coerenza drammaturgica. Un percorso prolifico quanto pochi altri, quello dello Scarlatti senior, dove a predominare sono le opere serie, all'interno delle quali rifulge in particolare la bellezza dei recitativi. Percorso ricchissimo, tuttavia ahimé pressoché inesplorato, pur tenendo conto del lavoro di recupero recentemente portato avanti da Fabio Biondi a Palermo (con Il Massimo Puppieno e Il trionfo dell’onore), da René Jacobs a Berlino (con La Griselda), da Gilbert Bezzina a Nizza (con Il Telemaco e Il Tigrane).
Già ripresa da Carlo Ipata a Opera Barga nel 2012, rivelandone tutta la intima e delicata bellezza, Gli equivoci nel sembiante ci è stata ora presentata al Teatro Rossini di Lugo: ed è stato questo il momento clou del nuovo Festival Purtimiro dedicato al repertorio antico, e posto sotto la prestigiosa direzione di Rinaldo Alessandrini. E' un lavoro teatrale giovanile ma già stilisticamente compiuto, dove, come già detto, è ancora la parola a dominare sulla musica, che resta sfumato e mai sopraffacente sostegno della prima. E che richiede solo un'orchestra ai minimi termini, data la primitiva destinazione d'uso: un quintetto d'archi, arciliuto, tiorba e cembalo, strumenti qui rappresentati dal Concerto Italiano, compagine impeccabile, dal suono caldo e corposo. Orchestra nella quale è ancora il solo basso continuo a sostenere arie e duetti – talora a ritmi di danza - che non richiedono ai cantanti mirabolanti doti esecutive. Ma canto equilibrato, grazia scenica ed un buon gusto recitativo, quelli sì. Doti che abbiamo tutte ritrovato nel quartetto di voci qui radunate, e composto dai soprani Alena Dantcheva e Monica Piccinini (rispettivamente Clori e Lisetta) e dai tenori Raffaele Giordani e Valerio Contaldo (Eurillo e Armindo). Interpreti stilisticamente senz'altro adeguati, e forieri di frizzante vitalità e bella varietà di emozioni. A sovraintendere tutta l'operazione, sedendo al cembalo sta naturalmente Alessandrini: ancora una volta apparso concertatore spontaneo ed raffinato al tempo stesso, guida esperta ed autorevole di un'esecuzione sempre ariosa ed elegante, e interiormente pervasa di grande senso teatrale.
La messa in scena vede una rarefatta visione di un boschetto, reso attraverso tanti candidi alberi dai rami spogli, su bozzetto di Cristiana Aureggi; costumi e regia sono invece affidati a Jacopo Spirei. I primi appaiono di taglio decisamente moderno: alle due ninfe, spensierati abiti rossi trapuntati di fiori, ai due pastori giacca e pantaloni scuri, camicia bianca e occhiali da sole al collo. Nella sua regia, Spirei sceglie di procedere in punta di piedi, muovendo l'azione con buona intelligenza, e condotta sobria e misurata; salvo concedersi qualche piccola ma piacevole stranezza, come i chiassosi caschi gialli che Lisetta ed Armindo indossano cavalcando – ad opera finita - una curiosa moto fatta di rami recisi. Ricercato il gioco di luci creato da Giuseppe di Iorio.
(Foto di Giuseppe Melandri)