Gli onesti che cantano Tenco

Gli onesti che cantano Tenco

Il pubblico entra in sala, gli attori sono già in scena e passa in sottofondo la Sinfonia n.40 di Mozart: le premesse dello spettacolo sono buone.
Gli onesti della banda è la riscrittura firmata da Diego De Silva e Giuseppe Miale di Mauro, della sceneggiatura di Age e Scarpelli di un classico della comicità anni Cinquanta, interpretata da Totò e Peppino De Filippo.
Lo spettacolo, prodotto da NEST - Napoli Est Teatro, indaga il carattere universale dei meccanismi dell’illegalità, profondamente radicata nella società attuale e alimentata dalle condizioni di precariato (materiale, sociale e morale) in cui versano anche le persone più oneste.

Onestà 2.0, ovvero il precariato contemporaneo

Protagonisti dello spettacolo sono Tonino (Adriano Pantaleo), un laureato in filosofia che, non trovando lavoro, decide di ereditare la portineria del defunto padre, e il suo migliore amico Peppino (Giuseppe Gaudino), che gestisce la tipografia di famiglia ed è perseguitato dai debiti contratti con Mimmuccio (Ernesto Mahieux, nell’iconico ruolo di un usuraio sui generis) in seguito all’acquisto di nuovi macchinari. Minare l’onestà dei due amici spetta a Casoria (Francesco Di Leva), amministratore dello stabile in cui presta servizio Tonino: un uomo perennemente in bilico tra legalità e attività “diversamente lecite”.

Rispetto al film, in questa riscrittura teatrale vengono modificate alcune relazioni parentali, ma l’atmosfera si mantiene in linea con pellicole come Poveri ma belli. Michele (Ivan Castiglione), il fratello finanziere di Tonino intende accasarsi con l’ansiogena Giulia, sorella di Peppino, ma allo stesso tempo, è incapace di resistere alla passione che prova nei confronti di Angela, moglie insoddisfatta di suo fratello. I due si scambiano continuamente gesti e sguardi di nostalgica seduzioni sulle note dei celebri ritornelli di Luigi Tenco.
Una regia scorrevole e i gap linguistici di Gaudino e Di Leva, accompagnati dalle istantanee correzioni di Pantaleo, specchio del carattere integerrimo del suo personaggio, sono tutti elementi che producono effetti comici assicurati.

Si ride di gusto – e quasi ininterrottamente – in questa commedia dal finale amaro. E la scenografia di Luigi Ferrigno descrive opportunamente sul palcoscenico il dualismo vittime/carnefici di queste vite vissute onestamente, ma, loro malgrado, come in una “gabbia quotidiana”.