A suo modo, Florence Foster Jenkins fu una grande diva. Nata in Pennsylvania nel 1868, prese lezioni di musica e manifestò il desiderio di dedicarsi all’arte dei suoni, ma la famiglia si oppose. Quando nel 1909 il padre morì, Florence si trovò a ereditare una discreta fortuna e, finalmente libera, si rivolse di nuovo al canto con volonterosa determinazione. A partire dal 1912 cominciò a esibirsi in pubblico. Ma le sue performance erano caratterizzate da un tratto del tutto peculiare: Florence era stonata. Terribilmente stonata. Irrimediabilmente stonata. Diverse incisioni discografiche documentano l’impatto devastante dei suoni che provenivano dal suo apparato vocale: in una memorabile registrazione dell’aria della Regina della Notte mozartiana, la si sente brancolare tra le note con noncuranza davvero sublime. Ma l’antimusicalità dell’attempato soprano non si limitava all’intonazione: altri suoi pregi inconfondibili erano l’impostazione pericolante, l’assoluta mancanza di senso del ritmo, il pessimo controllo dei registri. Insomma: una vera catastrofe.
Come poté un simile personaggio non solo pensare di intraprendere una carriera musicale, ma perseverare in essa per più di sei lustri? Come mai ebbe la possibilità di esibirsi ogni anno in un recital alla sala Ritz-Carlton di New York? E come riuscì a concludere la propria strampalatissima parabola artistica con un trionfale concerto celebrato alla Carnegie Hall il 25 ottobre 1944, che andò tutto esaurito e che fu ricordato come l’evento più fortunato della stagione? Non è facile interpretare questa colossale catena di paradossi. La Foster Jenkins era animata da una micidiale mistura di megalomania e di candore, di entusiasmo e d’incoscienza. Chi la conobbe assicura che era davvero convinta di essere una grande artista. Ai suoi concerti, d’altra parte, assisteva un pubblico selezionato e compiacente, che molto si divertiva all’ascolto delle imprevedibili esuberanze canore. Pian piano la fama cominciò ad autoalimentarsi e guadagnò all’improbabile usignolo uno stuolo di spettatori curiosi e increduli e qualche ammiratore convinto.
La storia sorprendente di Florence Foster Jenkins ha affascinato l’autore inglese Peter Quilter, che ne ha tratto Glorious!, in scena per la prima volta a Londra nel novembre 2005. Al di là dei risvolti schiettamente ironici, la pièce è una riflessione sulla sproporzione tra aspirazioni e mezzi, sulla discrasia tra volizione e principio di realtà. I poli di queste antinomie generano un flusso di energia che la protagonista gestisce con difficoltà, ritrovandosi perennemente in bilico tra pose eccentriche ed esiti patetici, desideri – culinari e sessuali, oltre che artistici – inappagati e proiezioni esorbitanti.
Tradotta in numerose lingue, Glorious! ha goduto di una notevole circolazione internazionale. L’adattamento italiano è stato presentato durante l’estate 2008 nell’interpretazione di Katia Ricciarelli, che ora lo ripropone in tournée invernale. A suo agio nei segmenti cantati, storpiati ad arte, la Ricciarelli non convince nella recitazione: la buona presenza scenica convive con qualche incertezza di troppo, e l’attrice sembra non trovare la giusta misura espressiva per un ruolo che, al di là dell’apparenza risibile, risulta nel complesso di non facilissima delineazione. I tempi non sempre perfettamente calibrati e il tono monocorde non giovano al ritmo della rappresentazione, che in più punti ristagna.
Attorno a Florence si muovono tre personaggi: l’attore St. Clair Bayfield, suo compagno (l’esperto Gianni Garko, efficace nonostante l’accentuata pronuncia inglese, che dovrebbe fungere da tratto connotante ma alla lunga stanca), la fedele amica Dorothy (una notevolissima Elisabetta De Palo, varia e brillante) e il pianista accompagnatore Cosmé McMoon (Nicola Nicchi, troppo lezioso); completa il cast Barbara Begala nelle vesti della cameriera Maria (una messicana da fumetto) e, fugacemente, in quelle di una contestatrice che interrompe l’esibizione di Florence.
Teatro Acacia - Napoli, 21 gennaio 2009
Visto il
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La Provvidenza
di Vallo Della Lucania
(SA)