Elio De Capitani e Paolo Sarti tornano a collaborare per Goli Otok, la riduzione teatrale del libro di Giacomo Scotti, che dà testimonianza degli orrori del campo di internamento creato da Tito per i traditori della Jugoslavia.
Dai meandri della storia del Novecento
28 giugno 1948: una data sepolta nella storia per la maggior parte degli italiani, ma non per quelli che hanno vissuto sulla propria pelle la vicenda jugoslava, dall’avvento di Tito agli anni della dissoluzione territoriale. Giacomo Scotti, giornalista italiano, ha raccolto alla fine degli anni Ottanta la testimonianza di Aldo Juretich, nato a Fiume negli Anni Venti. Aldo è stato internato per due anni sull’isola di Goli Otok e non ne è mai stai stato liberato: “Rilasciato, non liberato”.Il progetto: dal romanzo al palcoscenico
Il progetto iniziale di Sarti e De Capitani prevedeva la lettura di brani scelti dal libro di Scotti, ma si è scelto di farne una riduzione teatrale in virtù della forza della storia narrata e per la necessità di raccontare tutto il male che Aldo Jurietich ha vissuto sulla propria pelle e ha avuto il coraggio di testimoniare. Narrare questi fatti è molto doloroso, ma contribuisce a dare un senso alla sofferenza dei 16mila uomini deportati a Goli Otok.Perdere umanità
Vestiti lerci, un lavoro del tutto inutile, acqua spesso insufficiente per dissetarsi, mai per lavarsi; le calze, l’unica cosa pulita e nuova di fabbrica consegnata ai detenuti finivano per strappare via le unghie dei piedi quando questi le toglievano dopo molto tempo. Disumanizzare era il primario obiettivo dei “lavori di pubblica utilità” su Goli Otok.Talmente forte è il contenuto della pièce, che per inscenare il testo ai due interpreti non è servito altro che un tavolo, qualche libro e un paio di sedie. Una recitazione semplice, diretta, che dà alle parole il peso che hanno. In poco più di un’ora si condensa uno spettacolo che per profondità e tragicità è affine alla più importante letteratura concentrazionaria, da Primo Levi a Solženicyn.