Venezia, teatro La Fenice, “Götterdämmerung” di Richard Wagner
IL CREPUSCOLO PER RICOMINCIARE A VIVERE
A breve tempo dal Crepuscolo della Fura dels Baus al Maggio Musicale Fiorentino si chiude anche il Ring di Bob Carsen della Fenice, importato dall'Opera di Colonia e non preceduto dall'Oro del Reno. Un Ring, quello di Carsen, che definirei opposto a quello tecnologico dei catalani, un Ring dove c'è l'uomo al centro di tutto e dove la narrazione è curatissima, una narrazione scorrevole e facile da seguire come in un film neorealista (comprensibile e chiarissimo come un documentario), i cui momenti sono scanditi dallo scendere del sipario. Uno dei lavori più impegnativi e riusciti di Carsen, realizzato con la collaborazione di Patrick Kinmonth per scene e costumi e con le luci di Manfred Voss, rimontato alla Fenice dallo stesso Kinmonth e da Darko Petrovic.
All'inizio le tre Norne appaiono come anziane governanti in un luogo chiuso dove sono ammassati mobili (tra cui il frassino e il quadro verticale con la rupe che era nelle giornate precedenti); spettinate, trascurate, i vestiti bucati e rattoppati, le Norne muovono le scope con una lentezza ieratica; legano ogni cosa con una fune, forse si preparano all'imminente trasloco-viaggio-naufragio, forse vogliono proprio impedire quel viaggio e quel naufragio, cercando di ancorare (e salvare) quante più cose possibili con quella fune. Che poi, inevitabilmente, si spezza, lasciandole incredule e disorientate in una luce giallastra crepuscolare.
Il duetto nel prologo di Siegfried e Brünnhilde è in un luogo vuoto, sabbioso (realizzato con trucioli di legno, segatura che si attacca ai vestiti), dove affiorano spoglie di soldati caduti. Il primo atto inizia nell'ufficio di un gerarca nazista, grandi cartine riproducono il corso del Reno dalle parti di Colonia ed i mobili sono nello stile razionalista degli anni Trenta. Gunther e Hagen discutono, il primo in divisa, il secondo in abito scuro si comporta da padrone, mentre Gutrune beve e guarda vecchie foto, lunga sul tappeto, annoiata e vestita di celeste con un abito corto vagamente alla marinara.
Poi una luce fredda, di taglio, illumina il luogo di solitudine di Brünnhilde, raggiunta da una elegante Waltraute su tacchi a spillo, le ombre allungate come nei quadri del Dali surrealista.
Bandiere dominano il secondo atto, uno sventolio rosso e bianco accompagna l'arrivo di Brünnhilde e Gunther. La donna, allo stupore per l'arrivo di Siegfried ed alla disperazione per le sue menzogne, innamorata e per questo ingannata, risponde rovesciando quanto appoggiato sulla grande scrivania, rompendo vetri e cristalli, mentre appoggia la sua povera veste marrone sopra il vestito elegante che sembra averla resa irriconoscibile agli occhi dell'amato.
All'apertura del terzo atto le tre Figlie del Reno sono barbone che si aggirano fra i materiali di risulta sulla sponda del fiume, cercando invano di pulirsi dallo sporco che impregna vestiti e pelle, sfregando con forza e maniacale ripetitività con uno straccetto. E, su quella landa desolata, viene ucciso Siegfried, mentre la marcia funebre viene suonata a sipario chiuso. Al riaprirsi della scena siamo di nuovo nell'ufficio di Gunther, il corpo di Siegfried viene appoggiato sopra la scrivania e l'effetto che si vede dalla platea è efficacissimo: le fiamme guizzano nel caminetto sullo sfondo e sembrano lambire il cadavere dell'eroe.
E il finale è da brivido. Il sipario è chiuso, Brünnhilde canta in proscenio, poi il sipario si alza mostrando lo spazio completamente vuoto, anche le quinte laterali e di fondo sono sollevate. Una nebbia fosca esalta il guizzare di fiamme lontane che si riverberano rossastre sulle volute di nebbia. Brünnhilde si avvia. Nebbia e fumo si trasformano, con straordinario effetto, in pioggia scrosciante. Comincia a piovere, una pioggia benefica che spazza via la nebbia e i bagliori di fuoco, una pioggia fertile e feconda che impregna l'abito di Brünnhilde, una pioggia salvifica che la Valchiria accoglie con le braccia tese verso l'alto: si toglie il cappotto, guarda rasserenata verso il cielo, come in attesa di novità, come avida di una nuova, ulteriore possibilità. La pioggia bagna tutto, battezza una nuova nascita. Brünnhilde riprende il cappotto e si avvia verso il fondo, verso una nuova vita.
Jeffrey Tate dirige l'orchestra della Fenice con lentezza, esaltando i sentimenti umanissimi e la forza eroica della partitura; i tempi allargati consentono alla musica di dispiegarsi in suoni limpidi e precisissimi, cesellati dall'orchestra in modo da esaltare ogni singolo strumento con enorme sensibilità. Tate dosa il volume in modo ottimale per raccordare buca e palco: la musica si diffonde con la consistenza di un magma in ebollizione e, al tempo stesso, con la leggerezza dell'aria.
Al coro ben preparato da Claudio Marino Moretti si è aggiunto il Voxonus Choir diretto da Marcovalerio Marletta.
I protagonisti sono profondamente umanizzati, anti-eroi di una vita che invero li rende esemplari. Stefan Vinke ha voce potente e il suo Siegfried è il personaggio per antonomasia di questa messa in scena. Jayne Casselman ha voce di bel colore scuro e di impasto opaco, ma corta e poco elastica per un tale ruolone, compensata da grandi doti attoriali, efficaci in particolare nel confronto con Siegfried nel second'atto e nel finale; questa Brünnhilde è donna di grande temperamento, capace di confrontarsi alla pari con gli uomini ma anche di mostrare senza pudore e reticenze ogni sentimento, di amore come di dolore. Gunther e Hagen vestono rispettivamente in divisa e in borghese, evidentemente rappresentando una complementarietà nel male: codardo e inetto Gunther (Gabriel Suovanen dagli inquietanti tratti somatici), sopraffattore e cattivissimo Hagen (un tonante Gidon Saks). Commovente la Gutrune di Nicola Beller Carbone, di grande bellezza fisica ed eleganza nell'abbigliamento, una donna sconfitta dalla vita e in balìa della cattiveria del fratello e del fratellastro. Struggente la Waltraute rassegnata di Natascha Petrinsky, voce bella e usata sapientemente. Con loro Werner Van Mechelen (Alberich), Ceri Williams, Julie Mellor, Alexandra Wilson (le Norne), Eva Oltivànyi, Stefanie Irànyi, Annette Jahns (le Figlie del Reno).
Il recensore confessa di essersi commosso alla fine, nascondendosi dietro i lunghi applausi. All'uscita dal teatro una leggera pioggia, inattesa dopo il sole accecante e soffocante e il cielo completamente azzurro delle ore meridiane, come se la magia di Venezia avesse reso possibile un trasferimento della scena nella vita reale.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 04 luglio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)