Lirica
GOYESCAS - SUOR ANGELICA

La strana coppia

La strana coppia

Il Regio di Torino presenta Goyescas e Suor Angelica due atti unici composti a pochi anni di distanza e andati in scena per la prima volta al Met di New York, i quali, a parte la vicinanza cronologica, risultano estremamente diversi per stile, colore e atmosfera ed è più facile trovare elementi di contrasto che di similitudine. L’abbinamento proposto costituisce inoltre uno stimolo al pubblico per ampliare la visione della musica europea dei primi decenni del Novecento attraverso opere che non appartengono al grande repertorio: Goyescas è pressoché sconosciuta e di rara rappresentazione e Suor Angelica, fra le opere del Trittico, è quella che viene meno eseguita.

Enrique Granados compose Goyescas orchestrando la sua suite omonima per pianoforte ispirata a stampe di Francisco Goya che aveva riscontrato all’epoca un forte interesse.
La vicenda, che procede per quadri autonomi e giustapposti, narra di una nobildonna, Rosario, che, nonostante sia innamorata del nobile Ferrando, provoca la gelosia dell’amato e l’inevitabile duello mortale. L’opera è interessante per l’orchestrazione raffinata (particolarmente suggestivi i preludi orchestrali e l’aria dell’usignolo del terzo quadro) e per come il folklore venga rielaborato in un tessuto sonoro prezioso, ma è decisamente debole dal punto di vista drammaturgico: manca un autentico intreccio e i caratteri e le loro relazioni sono solo accennati.

Andrea de Rosa, regista e scenografo del nuovo allestimento coprodotto con il Maggio Fiorentino e il San Carlo, ambienta i tre quadri in una scena unica dominata da un cratere terroso, un baratro simbolico presago di morte intorno a cui si svolgono le coreografie che oppongono il mondo sfrontato e variopinto di “majos” e “majas” alla classe dei nobili.
L’allestimento è fedele al libretto e soprattutto ricrea con cura la tavolozza pittorica ispiratrice dell’opera di Granados con una grande attenzione alla scelta di colori, tessuti, luci. Il light design di Pasquale Mari privilegia luci calde per immergere il dramma in un sud traboccante di vita e passione e i costumi di Alessandro Ciammarughi sono fondamentali per creare “tableaux vivants” goyeschi immediatamente riconoscibili: la dama col parasole, la maya vestida e la maya desnuda (Rosario languidamente adagiata sulla portantina in un nudo statuario), il gioco del pelele e il ballo della lanterna fino all’abbraccio finale dei due amanti come in “amor y muerte”.

Se l’impatto visivo è gradevole e riuscito, risultano però opinabili alcune scelte registiche che, anziché aggiungere dei contenuti, sono semplicemente di troppo: ridondante la presenza del fantoccio che, oltre a essere lanciato in aria nel gioco del pelele, compare nelle coreografie per rappresentare (forse) la gelosia maschile; disturbano i fasci di luce accecante delle torce puntate dai figuranti intorno al cratere; ma soprattutto si sfiora il ridicolo quando Ferrando, nel momento del duello, indossa una maschera da toro e lo scontro fra i rivali scimmiotta una corrida nel cratere divenuto arena.

Giuseppina Piunti, nel ruolo della protagonista, ha giusta avvenenza fisica per scatenare la gelosia dell’amato e osare il nudo in scena; la voce è di bel colore scuro ma mostra qualche disomogeneità di emissione nei passaggi all’acuto. Corretta, ma un po’ generica, la Pepa di Anna Maria Chiuri. Dei personaggi maschili abbiamo apprezzato la fresca voce tenorile di Andeka Gorrotxategui (il nobile Ferrando); meno incisivo, sia da un punto di vista vocale che scenico, il torero Paquito di Fabiàn Veloz. Conclude il cast Alejandro Escobar (una voce).

A differenza di Goyescas, caratterizzata da un’ambientazione tradizionale e conforme alle indicazioni del libretto, Andrea de Rosa ambienta Suor Angelica in un ospedale psichiatrico del dopoguerra gestito da suore. In uno stanzone claustrofobico che funge da refettorio, dalle pareti scrostate e immerso in una luce livida, vediamo un campionario di pazzia tutta al femminile: la vecchia che mostra ossessivamente la borsetta, un’irrefrenabile epilettica, una giovane costretta in una camicia di forza, una madre che culla un fantoccio, una suora minorata e golosa. Tutte pazze chiuse in una gabbia che osserviamo oltre un’inferriata che occupa tutto il boccascena e segnala un limite invalicabile di separazione dal mondo “normale”. Se pur il movimento scenico delle alienate (di Balletto Civile) sia fin troppo marcato e a tratti interferisca con la narrazione, la regia convince per il realismo asciutto adatto a raccontare una storia di crudeltà e segregazione.

Suor Angelica non è qui vestita da monaca, ha i capelli sciolti e l’aria dimessa e, a eccezione del crocifisso sul petto che ne rivela lo stato di religiosa, si potrebbe confondere con le pazze a cui è legata da empatia e comunione. Suor Angelica potrebbe essere diventata pazza per segregazione (la cura maniacale con cui accarezza le piantine è un segno di alienazione) e, dopo l’incontro con la zia, si dà la morte coi barbiturici andando incontro a una dannazione certa. Alla fine, mentre le folli escono fuori forse libere, Suor Angelica muore in solitudine nella semioscurità, sdraiata a terra abbracciata al fantoccio che una di loro le ha dato per compassione. Un finale tutto umano che esclude ogni grazia, speranza e redenzione.

Amarilli Nizza è una Suor Angelica molto intensa e coinvolgente e nel contesto risulta ancora più commovente spingendoci a identificarci con la sua tragedia; non importa se la voce ha qualche asprezza: l’interprete riesce con il gesto e l’espressività di un canto sensibile a mettere a nudo ogni tormento con forte impatto drammatico. Convince pienamente la zia Principessa di Anna Maria Chiuri dalla voce scura e inquietante e si percepisce un’approfondita frequentazione del ruolo. Di ottimo livello tutti i comprimari: segnaliamo in particolare la Suor Genovieffa di Damiana Mizzi, la Badessa di Maria di Mauro, la suora infermiera di Valeria Tornatore e la suora zelatrice di Silvia Beltrami.
Nicoletta Baù è Suor Osmina e Maria de Lourdes Martins è Suor Dolcina.

Un plauso alla direzione di Donato Renzetti che ha saputo infondere morbidezza e languore a Goyescas esaltandone altresì tutta la raffinatezza timbrica. In Suor Angelica il direttore, oltre a suggerire colori e trasparenze, non perde di vista il filo narrativo e sottolinea gli snodi emotivi perfettamente assecondato da un’orchestra in gran forma.
Ottima la prova del Coro del Teatro Regio e di quello di voci bianche del Conservatorio Verdi preparati da Claudio Fenoglio.

Visto il
al Regio di Torino (TO)