Prosa
THE GREAT DISASTER

Un lunghissimo soliloquio... e troppi cucchiaini

Un lunghissimo soliloquio... e troppi cucchiaini

NDS. Niente da segnalare. Una frase di Giovanni Pastore, qui protagonista assoluto del grande disastro datato 1912, lo schianto del Titanic contro un iceberg. ‘Niente da segnalare’ potrebbero essere anche le parole per descrivere un’opera che nasce ambiziosa, ma che probabilmente si è un po’ persa dietro la ricerca dell’enfasi e della spettacolarità a tutti i costi.

La storia narra la vita, non troppo lunga, di un giovane friulano, che decide di lasciare la sua montagna, rassicurante per quanto senza prospettive, per girare l’Europa alla ricerca di fortuna e finisce con il fare il lavapiatti per il ristorante à la carte del Titanic. O forse è meglio dire il lava-cucchiaini, una posata che diventa quasi un feticcio nelle sue mani, ossessionato com’è dai numeri: 3177 cucchiaini no, sarebbe meglio averne 2 in più, perché 3179 è più bello, una cifra che anche a dirla suona meglio. Il racconto non ha un lieto fine perché, con l’affondamento della nave, affondano anche le prospettive di una vita migliore per Giovanni. Che la storia sia vera o meno però, poco importa. La narrazione rappresenta, come spesso accade, un pretesto per parlare d’altro: da temi più tradizionali come la prepotenza dei datori di lavoro, la futilità dei nababbi, la spocchia degli arricchiti fino a quelli inerenti la sfera personale - la perfidia degli amici d’infanzia, l’amore tenero e delicato per la giovane Cecilia, il ricordo della nonna annegata senza mutande nella fontana della piazza.

I propositi sono buoni - il galleggiamento nel limbo di un ragazzo ingenuo e sognatore è metafora della condizione propria dell’essere umano, sempre in bilico tra la vita e la morte. Tuttavia, nonostante la bravura e l’intensa interpretazione di Matthieu Pastore, ineccepibile nella tecnica, l’opera non scorre con molta fluidità: il lungo soliloquio appare difficile da seguire in alcuni passaggi, parole pronunciate con eccessiva velocità tanto da non riuscire a cogliere il senso e l’ironia di certe battute, la musica volutamente inquietante se sommata ad alcune scelte sceniche - il cadere di lastre di ferro per simulare il disastro dello schianto - risulta quasi fastidiosa e non solo strumentale alle esigenze narrative.
Una storia violentemente banale, come dichiarato dagli stessi ‘curatori’ dell’opera, che finisce con il perdere per strada il suo potenziale, per voler far troppo e forse stupire, facendo emergere una certa ansia nel voler impressionare a tutti i costi la platea.

Visto il 05-05-2014
al della Cooperativa di Milano (MI)