Energia allo stato puro, entusiasmo irrefrenabile, musica travolgente suonata rigorosamente dal vivo e un impianto scenico di forte impatto visivo per la nuova versione italiana del musical Green Day's American Idiot, l'opera scritta da Billie Joe Armstrong, leader della celebre punk rock band americana, sviluppando in un'opera teatrale in musica la storia contenuta nei concept album American idiot (2004) e 21st Century Breakdown (2009).
Seguendo il fortunato filone inaugurato con Next to Normal nel 2015, il regista Marco Iacomelli, dirige questa non convenzionale punk rock opera, che coniuga sapientemente teatro musicale e tematiche giovanili, quali il disagio e lo smarrimento di una generazione che deve fare i conti con un'esistenza senza sogni né valori, e la poesia dal sapore underground della musica di un gruppo dal sound unico e dallo stile inimitabile.
A portare in scena questo adattamento è un cast di 21 giovani artisti, di cui 4 membri e 5 ex allievi della STM-Scuola del teatro musicale di Novara, di cui Iacomelli è direttore: un affiatato ed entusiasta gruppo che si è cimentato nella non facile impresa di riprodurre le gesta narrate dal libretto di Armstrong e Michael Mayer.
Marco Iacomelli ha dimostrato grande coraggio e intraprendenza nel proporre questo controverso titolo in Italia. American Idiot è fortemente legato alla storia americana e il riscontro con l'attualità italiana è pressoché insistente, sebbene il senso di smarrimento, la rabbia e lo spirito di ribellione che incarnano i tre protagonisti sono tematiche universali e trasversali che appartengono ai giovani di ogni parte del mondo: sono una tappa della crescita emotiva e personale di ogni generazione.
American Idiot non è un musical tradizionale, non tocca temi leggeri, non è una storia facile, non è una fiaba: è la cruda storia di tre ragazzi della remota provincia americana, Johnny, Tunny e Will e del loro trovarsi e confrontarsi con un mondo senza valori né certezze, che non rispecchia i loro desideri.
Scossi dai tragici eventi di New York (11 settembre 2001), i tre amici poco più che adolescenti, decidono di cercare se stessi e la propria strada lasciando la "tranquilla" e ripetitiva provincia.
I tre ragazzi affronteranno paure, fascinazioni, tentazioni e insidie, seguendo percorsi diversi che porterà però ciascuno di loro ad una nuova consapevolezza di sé e del mondo; le loro strade infatti si divideranno subito: Will spinto dagli amici, resterà a casa perché la sua ragazza è incinta, Tunny e Johnny partiranno alla volta della grande città in cerca di fortuna, ma una volta lì si separeranno anche loro. Tunny si arruola nell'esercito e andrà in guerra in Medio Oriente, Johnny vuole invece diventare una rock star, ma ben presto cadrà nell'alienazione totale, sedotto dalla lussuria e dall'abuso di droghe, che lo porterà a fare i conti il suo alter ego nichilista (St Jimmy).
Lo spettacolo è un buon prodotto, uno show curato, tecnicamente di qualità e la scelta di mantenere le canzoni in lingua originale è interessante, audace e rischiosa; apprezzata sicuramente dai fan storici dei Green Day, forse meno da chi non "mastica" l'inglese o non conosce perfettamente le canzoni della band: i testi rischiano di essere un pò ostici e non di facile e immediata comprensione, perdendo così gran parte del loro spessore emotivo e della loro efficacia, perché sono le stesse canzoni a raccontare e caratterizzare i personaggi.
Un cast giovane e talentuoso, con un'entusiasmo e un'energia contagiosa, che regala una performance intensa e sincera, dotata di quella freschezza e di quell'ingenuo candore tipici di chi muove i primi passi su un palcoscenico. Sicuramente le scene d'insieme e i momenti corali sono le più efficaci e organiche, con un'evidente superiorità delle voci maschili, decisamente più mature di quelle femminili, che hanno mostrato qualche incertezza e qualche imperfezione, probabilmente dovuta all'inesperienza nell'affrontare uno lavoro così impegnativo e complesso.
Degne di nota è l'interpretazione di Will da parte di Luca Gaudiano, artista in possesso di una timbrica interessante e di una tecnica vocale incisiva e di spessore e quella del sognatore e patriota Tunny, da parte di Renato Crudo, intensa e di forte impatto emotivo. Convincente anche la prova di Ivan Iannacci che interpreta l'annoiato e alienato Johnny, il "Jesus of Suburbia" - specchio del leader dei Green Day, con generositá, impegno e passione.
Il St.Jimmy interpretato con grinta e personalitä da Mario Ortiz, l'alter ego affascinante e pericoloso di Johnny, il suo lato oscuro, funziona da un punto iconografico e d'immagine, ma non sempre la sua performance è impeccabile da un punto di vista tecnico.
Nota di merito per la talentuosa band dal vivo composta solamente da quattro elementi: Roberta Raschellà (chitarre), Orazio Nicoletti (basso), Marco Parenti (batteria), Riccardo Di Paola (direzione e tastiere), che fanno un lavoro notevole e senza sosta, non risparmiandosi, sono semplicemente strepitosi.
È indubbio che la vera protagonista dello spettalcolo è la musica: il rock dei Green Day, le canzoni forti e immortali come American Idiot, Holiday, Whatshername, Jesus of Suburbia, Wake Me Up When September Ends, Boulevard of Broken Dreams, Letterbomb, si susseguono senza sosta, con un ritmo incalzante, coreografate ad hoc ed intervallate da pochi e brevi dialoghi.
Lo spettacolo è un viaggio intenso, vibrante e coinvolgente nel disco più politico in assoluto della band di Billie Joe Armstrong; è quasi come assistere a un vero e proprio concerto punk rock