Instancabili e prolifici, dopo il successo romano di Some Disordered Christmas Interior Geometries dello scorso Natale Stefano Ricci e Giovanni Forte hanno continuato nel loro cammino di ricerca teatrale approdando a Grimmless (t. l. senza Grimm), incentrato sui famosi fratelli delle fiabe che tutti conosciamo, montato sui performer Anna Gualdo, Valentina Beotti, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori e Anna Terio che da tempo lavorano con la coppia di autori.
In Grimmless prosegue l'esplorazione del corpo dell'adolescente colonizzato dalle istanze consumistiche della cultura pop, istanze che, usate da RicciForte come uno specchio, o, meglio, come un prisma, restituiscono tante immagini, seriali eppure indipendenti, del mondo di (auto)rappresentazione dei giovani che i due drammaturghi esplorano con eleganza per noi spettatori.
Ogni spettacolo di RicciForte si caratterizza per una ricerca drammaturgica che non si esaurisce nella parola, ma si contamina con la performing art, sfruttando il corpo degli attori e delle attrici, nudo o vestito, sudato o ansimante, colorato o sporcato, strattonato e spintonato, portandolo al limite delle sue capacità fisiche in una sincerità con lo spettatore che è prima di tutto fisiologica, fisica, anatomica, umana.
Grimmless usa la fiaba (cioè alla sua assenza) come cartina di tornasole della salute del Paese, tra derive semplificatorie televisive e un ritorno al privato che è divenuto ormai auto reclusione. Un Paese ormai privo del concetto di storia, che vive in un eterno presente il cui paradigma è quello della cronaca, nel quale l'evocazione della fiaba costituisce l'eco lontano di un'era di possibilità emotivocognitive ormai irrimediabilmente perse.
Se siamo senza Grimm è proprio per queste incapacità del presente di accedere a un senso, di lasciare attecchire un significato qualsiasi.
Il mondo innocente dei giochi dell'infanzia si rivesto di una violenza gratuita e adulta che trova spazio in diversi momenti dello spettacolo: dall'omicidio nel prologo, all'infierire di tutti, con calci e pugni, contro un personaggio femminile compagno estraneo di giochi, in un ciclico ripetersi di falsata euforia che si capovolge nella più primordiale delle violenze.
Ogni performer porta con sé un proprio bagaglio non solo metaforico ma anche concreto: un trolley dai colori pastello dentro il quale prendono posto attrezzi e costumi di scena dando corpo e voce a diverse situazioni: il matrimonio col quale si apre lo spettacolo quando gli invitati si fanno fare foto con personaggi famosi che individuano in platea (in realtà normalissimi spettatori); la casa plastico nella quale ricostruire il delitto à la maniére di Chi l'ha visto? (tutto quel che resta di Hansel e Gretel e della loro casa di marzapane), un'umanità atomizzata che non fa presa, non sa fare numero, gruppo, non è più popolo ma una pletora cadaverica di monadi incomunicabili che si scontrano come atomi impazziti.
Spettacolo a quadri, che alterna monologhi, nei quali alcune fiabe vengono deostruite e restituite come residuo metabolizzato di una voracità onnivora pop, ad azioni squisitaente performative Grimmless ci regala momenti indimenticabili, ricordiamo le mele tirate fuori dai trolley (senza fondo!) disposte in modo da fungere da tapis roulant sul quale far muovere sdraiata una delle performer, trasversalmente per tutto il palco, o il finale quando i 5 performer si spogliano nudi e si colorano il corpo l'un l'altra con gentili e intime carezze di quel color oro che simboleggia la perduta età abbandonati nell'unica intimità rimasta quella della propria pelle un contatto troppo umano cui cercano subito di sottrarsi vestendosi con abiti eleganti e scatenandosi ad una festa mentre la neve (creata da una macchina come quelle del cinema) copre ogni cosa di uno strato di ghiaccio.
Grimmless>/i> necessita forse di maggiore organicità, soprattutto nella prima parte, quando i vari momenti fisici si alternano senza soluzione di continuità ai monologhi recitati al microfono, dando l'impressione della giustapposizione piuttosto che quella del discorso composito. Complice forse le continue manovre coi trolley e con le aste dei microfoni che impacciano un po' gli interpreti. Anche le ripetute manovre con i lampadari coperti di plastica protettiva che a inizio spettacolo si trovano a terra, vengono quindi innalzati una volta per farli dondolare, poi portati ad un'altezza superiore dalla quale possono successivamente rovinare rumorosamente a terra, sembrano scollegate dalla drammaturgia ma è anche vero che Grimmless ha ancora poco rodaggio e queste legnosità non potranno che diminuire e sparire col tempo.
Nella parte testuale non possiamo non notare l'occasione mancata di approcciarsi alle fiabe dei Grimm dal loro coté notoriamente crudele e sadico che invece Stefano Ricci e Giovanni Forte leggono nella loro dimensione fiabesca tout-court mentre la crudeltà è tutta nel mondo contemporaneo e i Grimm sono il segno nostalgico di un'epoca che non c'è più: Perché le nostre giornate non sono scritte dai fratelli Grimm. Non hanno lieto fine. Non ci sono artifici abusati e fazioni manichee: buoni da una parte, cattivi dall'altra. Ci siamo noi. Fratturati. Ribaltati. Senza sconti. Grimmless. Senza Grimm, appunto come si legge nelle note di regia. Sarebbe stato magari interessante trovare il modo di far dialogare due crudeltà così diverse come quella di oggi e quella dei Grimm.
Così come vengono (ri)lette le fiabe sono dunque più che un pretesto narrativo per fare un discorso altro: il caos, la crudeltà, la morte non provengono da quell'universo fiabesco ma sono ad esso direttamente contrapposti dalle nostra contemporaneità.
Come negli altri spettacoli di RicciForte molti dei monologhi sono declamati con l'ausilio dl microfono amplificato, uno dei tanti esempi di un impianto tecnologico che stavolta primeggia in tutta la sua potenza: dal parco luci posto non sopra ma a fianco del palco su una delle pareti di proscenio, alla musica manovrata direttamente dai performer con l'ausilio del telecomando di un lettore cd, al finale, davvero d'effetto, nel quale, mentre sono tutti colti dall'estasi festaiola, dopo essersi dipinti d'oro e aver indossato gli abiti buoni, mentre la neve sta coprendo ongi cosa, uno dei performer (Anna Gualdo) si allontana dal gruppo e con le proprie mani stacca il cavo di alimentazione facendo piombare il palcoscenico nel buio come una giostra che improvvisamente si rompe.
L'impiego dei microfoni (con le loro aste spesso ingombranti, che devono essere continuamente portati dai lati al centro del palco e viceversa) appiattiscono i monologhi sulle stesse caratteristiche: l'amplificazione del fiatone dell'attore, la recitazione ieratica, scandita, vero marchio di fabbrica di RicciForte, che stavolta sembra imporsi non già come necessità narrativa, ma come valore di per sè, rischiando così di scadere dallo stile alla maniera.
Acclamatissimo da un pubblico che ha fatto segnare il tutto esaurito per ogni replica, Grimmless è un esempio di ottimo teatro che nel momento stesso in cui ci mostra l'abominio quotidiano nel quale viviamo ci irretisce con sincere promesse di catarsi e riscatto, qui su questa Terra, certamente, ma quando?
Prosa
GRIMMLESS
E se lo stile diventasse <i>maniera</i>?
Visto il
29-03-2011
al
India - sala A
di Roma
(RM)