Prosa
GRIMMLESS

La favola della vita secondo Ricci e Forte

La favola della vita secondo Ricci e Forte

Le fiabe? Illusioni transitorie, buone solo per sedare innocenti sonni infantili. Attenzione però: diventare adulti, senza aver prima ripulito ogni anfratto della propria coscienza/incoscienza da rassicuranti finali, si rischia di restare invischiati in una melassa zuccherina. Scorie ingannevoli come lo sono i paradisi artificiali dispensatori di miraggi. Mirabolanti comete svanite in un battibaleno. La vita vera, è “altro”. Un altrove per nulla rassicurante, anzi.  E’ quella di Grimmless, dove è bandito per onestà intellettuale, il genere: “E tutti vissero felici e contenti”. Per Ricci/Forte le favole non hanno cittadinanza acquisita. Non fatevi ingannare dal cono azzurro e stelline dorate che indossa Giuseppe Sartori. Niente bacchetta magica per cantilenare “Bibidi bobidi bu”. Meglio una pistola per sparare ai suoi compagni/fratelli e colleghi si scena, intenti a giocare tra il pubblico. Non fa sconti a nessuno, non prova pietà. Non c’è posto per la fata turchina intrisa di compassione e caritatevole altruismo. No. Qui ci si difende a mani nude e al posto delle carezze volano sonori ceffoni. Biancaneve è trascinata per capelli e le mele servono da doloroso nastro trasportatore sui cui far scorrere il suo corpo inerme.  I sette nani sono la salvezza della sua anima candida.  Anna Gualdo/Cappuccetto Rosso, si libera dai suoi trascorsi infantili infelici. Piange e ti confessa come la sua vita è come una ferita che non rimargina. E’ da compatire: voleva danzare sulle punte dei piedi, ma il destino crudele e gli orchi materni non l’hanno permesso. Non le resta che tagliare con la motosega un tronco di legno vestito con il suo tutù rosa e le scarpette di raso. Recisione chirurgica di ambizioni castrate e mai sopite. Ancoraggi gravosi dove l’io non si è mai realizzato.  La vita è quella che è, tanto vale usarla al meglio delle tue possibilità. Altro che favole! La casetta rosa plastificata è popolata da barbie di pelle bianca e scura. Una fa la trans e ti decanta il suo lussurioso catalogo di prestazioni sadomasochistiche. C’è ancora qualcuno che crede ai castelli incantati dove risiedono illibate giovinette in attesa del principe azzurro di turno? La nuda e cruda realtà sta dentro le case degli italiani. Vedi alla voce plastici da salotto televisivo nazional-popolare. Andrea Pizzalis racconta di aver perso la vita dentro quella villetta famigliare degli orrori. Il suo corpo giace per terra con la testa incappucciata. Tracce di sesso consumato. Realismo cinico, lo trovi tutti i giorni sulle pagine della cronaca nera. Hansel e Gretel viaggiano con i loro trolley dai colori acidi, e non disdegnano di darsene di santa ragione. Sono giochi perversi. Con tanto di stupro finale. Dall’alto pendono lampadari incappucciati da sembrare meduse fosforescenti. Piomberanno al suolo nel fracasso generale. Il tonfo è metafora di un crollo definitivo delle nostre umane certezze.  Ma ad allietare l’anti favola pop, c’è un intervallo con la danza mimata delle gemelle Kessler in versione originale. Quelle sì che erano fiabe!  Tra un monologo confessione e l’altro, arrivano come frecce  spezzoni sonori di Handel, Bee Gees, Adam  Ant, Pussicat Dolls. Troppo brevi perché dispensino gioia e felicità. La scrittura drammaturgica (Stefano Ricci cura la regia, Gianni Forte il testo) è qualcosa che assomiglia a una sentenza senza appello: “La fiaba è tragica, inesorabile. Condizione di una vita orientata. E morte e resurrezione. Non è più tempo di fiabe uomo! Non crederci, non è così la vita. E’ peggio”. E la favola ricomincia di nuovo: “C’era una volta un paese a forma di scarpa. Ora non c’è più!” Ogni riferimento è puramente reale. Se non bastasse, ecco comparire un tricolore deposto come tributo a un eroe scomparso. Siamo arrivati al capolinea. Anna Gualdo, Valentina Beotti, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Anna Terio s’inginocchiano al suo capezzale. Che sia l’Italia? Corpi denudati e rivestiti di oro per una rappresentazione sacra e profana. Idolatria pura in decadente dissolvenza. Ultimi bagliori luccicanti di un mondo in vertiginoso disfacimento. C’entra qualcosa con il nostro reale? Secondo noi sì. Fiotti di neve artificiale sparati sull’impiantito della scena. Bianca e scivolosa come lo è la nostra fredda anima di comuni terreni. Loro, i sempre più generosi e bravi protagonisti, ballano scomposti nei loro goffi costumi. E spariscono da una porticina sul fondo. Un buco nero e profondo che non lascia scampo a nessuno.   

Visto il
al Kismet di Bari (BA)