Prosa
GUERRA SANTA

Guerra santa: una battaglia dialettica

Guerra santa
Guerra santa

Guerra santa, l’ultimo testo di Fabrizio Sinisi, nuova produzione del Centro Teatrale Bresciano, è una battaglia dialettica sul tema del contrasto tra generazioni.

Guerra santa, l’ultimo testo di Fabrizio Sinisi, vincitore del premio Testori 2018, che ha debuttato a Brescia al Teatro Santa Chiara-Mina Mezzadri, nuova produzione del Centro Teatrale Bresciano, è una battaglia dialettica sul tema del contrasto tra generazioni.

Leila è una ragazza cresciuta in orfanotrofio insieme all’amico Daniele, che, dopo essersi convertita all’Islam, aver progettato alcuni attentati in Italia ed essere successivamente scappata in Siria con lui per unirsi ai foreign fighters dell’Isis, sette anni dopo ha deciso di tornare e affrontare il prete che li allevati, da lei ritenuto responsabile delle loro estreme scelte di vita.


Nessun dialogo ma lunghi monologhi

Il confronto non avviene per mezzo di un dialogo, ma in una sequenza lunghi monologhi, che ricordano le arringhe processuali, nei quali i due si rinfacciano tutto quello che è maturato nel loro animo durante gli anni di separazione. Il modello che il prete ha offerto ai ragazzi, ovvero il modello capitalistico occidentale, viene percepito dalla giovane come vuoto, privo di ideali, all’interno del quale anche i sentimenti sono viziati, come ad esempio la predilezione eccessiva, forse morbosa, manifestata dal sacerdote nei confronti di Daniele. I ragazzi avevano invece bisogno di, emozioni forti, nuovi simboli e nuove ragioni di vita, e il progressivo scivolare verso la Jihad è sembrato inevitabile.

È l’eterna lotta generazionale tra padri e figli, i primi conservatori di uno status quo che cercano di tramandare, i secondi insofferenti a questa situazione ed alla perenne ricerca di cambiamento. Ma come apprenderemo dallo spiazzante finale, saranno i padri a pagare per le colpe dei figli.


Un presente che si sgretola nell’incomunicabilità

Il linguaggio adottato da Sinisi è un linguaggio alto, fortemente simbolico, nel quale si mescolano filosofia e citazioni della Bibbia. C’è più parola che ascolto in questa sfida dialettica tra i due mondi, che il regista Gabriele Russo ambienta in un immaginario spazio di archeologia industriale, dominato da due pilastri di cemento e da calcinacci, a simboleggiare un presente ormai in disfacimento, nel quale non sembra esserci più possibilità di comunicazione e di un vero confronto.

Di grande efficacia le prove dei due attori: Federica Rosellini è una Leila determinata nel suo atto d’accusa e per nulla disposta ad ascoltare le ragioni del suo interlocutore, interpretato da un Andrea Di Casa intenso ed accorato.

Visto il 07-03-2019