Prosa
[H] L_DOPA

Il teatro molteplice e irr…


	Il teatro molteplice e irr…

Il teatro molteplice e irrequieto di Antonio Latella coltiva con persistenza il germe imprevedibile della ricerca espressiva, spinta mai conclusa a realizzare la drammaturgia sotto una tensione che si sottrae alla mansuetudine dello stile. Contrafforti di uno stesso progetto teatrale sono i due lavori Don Chisciotte e [H] L-Dopa, che attraversano il rapporto tra malattia e letteratura in un percorso speculare di causa ed effetto; giacché nel primo la letteratura diventa astrazione dal reale e perciò origine e sintomo al tempo stesso del malessere, mentre nel secondo l’osservazione clinica della sofferenza si trasforma in oggetto letterario attraverso la narrazione del terapeuta, che astrae “poeticamente” la sua indagine scientifica dal dolore dell’individuo. Generoso nell’invenzione di regia, Latella separa la linea estetica dei due lavori ricavandone occasioni teatrali indipendenti, senza che in verità resti indispensabile allo spettatore la cognizione dell’architettura globale che ha mosso il progetto: le due rappresentazioni vivono nell’autonomia di proposte drammaturgiche differenti, come essenzialmente differenti sono gli ingredienti della messa in scena.

Per potenza corale e per intensità espressiva [H] L-Dopa raggiunge lo spettatore ad una temperatura emotiva ragguardevole. Lo smarrimento della psiche, nota continua che attraversa la scrittura, mantiene un costante senso di dolorosa alterazione del reale, di mutilazione della libertà interiore, che resta incombente nello sviluppo della drammaturgia. Il testo è ripartito in tre segmenti, ciascuno dei quali procede lungo una distinta linea di osservazione; protagonista un coro di attori che nel primo atto interpreta il punto di vista della “normalità” sulla patologia, i parenti che visitano i malati di encefalite letargica all’ospedale e che si trasformano nel secondo atto, come per metamorfosi o persino per contrappasso, nei pazienti stessi, portatori di un dolore intraducibile al versante sano del mondo se non attraverso la decifrazione sciamanica del terapeuta, che dispensa il benessere come uno spregiudicato demiurgo; ed infine, quando la sofferenza ha compiuto il suo ciclo di trasformazione sull’uomo, sono i pazienti stessi, nel terzo atto, a farsi giudici morali del loro nume guaritore, in una prometeica quanto grottesca rivendicazione dell’individualità consegnata ad una scienza metafisica ed impersonale.

Il testo è l’esito di un lungo lavoro di sedimentazione collettiva, guidata dalla scrittura Linda Dalisi e dallo stesso Latella. La lenta appropriazione del senso da parte degli attori − un eccellente collettivo internazionale − e dello stesso regista ha costituito la premessa necessaria a questa messa in scena, esecuzione polifonica e polistilistica di una partitura di gruppo, ove persino il realismo della sofferenza viene accolto come espediente poetico – basta citare su tutti il lacerante ostinato dell’attore Jean-François Bourinet nel secondo atto – e il grotesque come linguaggio della catarsi; e tuttavia proprio il terzo atto, ove si accordano il giudizio e la liberazione, patisce qualche rallentamento nella scrittura, meno carica rispetto ai primi due movimenti e vulnerata da qualche eccesso didascalico, come il monologo quasi pedagogico – pur eseguito con disarmante purezza – che precede il finale e rallenta nello spettatore la tensione estetica così accuratamente nutrita fino a quel punto. Sigillo mirabile alla ricchezza della drammaturgia, l’ultima scena sintetizza in una potente intuizione gestuale le contraddizioni agitate dalla scrittura; ed è infine la morte, o la guarigione, o la perdita del ruolo, ad interrompere il circuito del dolore. Nella magnifica conclusione si rivela allora l’organizzazione per livelli di senso dello spazio teatrale: come protagonisti della malattia i personaggi abitano naturalmente il proscenio, luogo della realtà, come protagonisti del proprio spazio mentale invadono l’intero palcoscenico, luogo dell’immaginario, ed infine come protagonisti della vita attraversano lo spazio fisico del pubblico e si incorporano agli spettatori stessi, contaminandoli dell’impulso disperato e vitale che finalmente affranca i personaggi-pazienti dall’inquietudine delle loro esistenze.

Visto il 16-01-2010
al Nuovo di Napoli (NA)