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HAVE I NONE

Uno spettacolo riuscito pur nella sua cripticità.

Uno spettacolo riuscito pur nella sua cripticità.

“In realtà, e questa non è retorica, la nostra società non è basata sulla tecnologia ma sul consumo e sulla schiavitù. Una schiavitù che assume la forma del consumo. Il compito del drammaturgo è quello di sempre, ossia permettere al pubblico di vedere ciò che sta facendo, per capire la propria vita e ciò che potrebbe succedere domani”. Edward Bond

Di Edward Bond, classe 1934, famosissimo quanto controverso  drammaturgo inglese, Rodolfo Di Giammarco ha scelto per la decima edizione di Trend, la rassegna da lui creata che presenta al pubblico romano un panorama della drammaturgia britannica contemporanea, un piccolo gioiello di scrittura, Have I None (t.l "non ne ho"), scritto nel 2000, ambientato nel luglio 2077, in un futuro apocalittico nel quale le autorità hanno messo al bando la storia, dunque la memoria e il passato e ogni tecnologia per conservarli in un mondo nel quale la violenza per strada è sempre più frequente e anche autodistruttiva (i suicidi sono in continuo aumento). Una coppia, Sara e John,  vive in una casa scarnificata, priva di fotografie e quasi di mobili (ridotti all'essenziale) nella quale la comunicazione avviene su un piano privo di sentimenti e di partecipazione. A scomodare il loro precario equilibrio arriva Grift un uomo che si presenta come fratello di Sarah. Nel sottile gioco di potere che nasce da questa intrusione i pochi mobili di casa diventano oggetto del contendere  dove la proprietà privata è l'unico bene rimasto in una vita senza memoria  e senza passato: il possesso come unico mezzo distintivo delle persone.
A mettere in scena questa commedia onirica e inquietane sono Licia Lanera e Riccardo Spagnulo di Fibre Parallele, affiancati da Marialuisa Longo,  che si distinguono sin dalla loro comparsa nel 2005, per una ricerca drammaturgica dove il testo è solo la controparte di una drammaturgia che trova nella messinscena elemento essenziale del lavoro teatrale.
Mentre il pubblico entra in sala gli attori sono sul palco più o meno svestiti mostrandosi mentre si preparano a entrare nei personaggi. Colpisce di più la preparazione di Licia Lanera, che, interpretando John, cambia a vista connotati  e movenze diventando grazie all'uso sapiente di pochi  elementi di scena, parrucca grigia e  di baffi posticci, e a una maestria nella postura e nel linguaggio del corpo (e della voce) un marito petulante e maschilista. Marialuisa Longo interpreta la moglie repressa tradizionale vittima del marito e spenta mentre Riccardo Spagnulo interpreta il personaggio di rottura elemento perturbatore del mènage (irrecuperabile) della coppia incomunicante e per certi versi interscambiabile caratterizzata dalla stessa impermeabilità alle vite altrui costretta a confrontarsi con le rivelazioni del presunto fratello che cerca di suscitare quel che è proibito il ricordo, il senso della storia come percorso personale, come provenienza.
I personaggi oscillano tra una non vita tagliati fuori da ogni possibilità di cambiamento ovvero costretti entro l'unico cambiamento rimasto (quello della morte-suicido-omicidio) in cui il dubbio di quanto raccontato e insinuato assume toni di indeterminazione narrativa inquietante e dalla quale lo spettatore cerca in tutti i modi di liberarsi con delle spiegazioni narrative (sono i ricordi deliranti di una sucida? Di una delle vittima di una delle violenze che capitano intorno?).
E quando il nodo narrativo sembra sciogliersi siamo già alla fine della pièce e i personaggi si spogliano dei loro abiti tornando gli interpreti che lo spettatore ha incontrato  a inizio spettacolo che ora, liberati, cantano tutti la stessa canzone.

Sebbene acerba e con qualche lungaggine, l'impianto drammaturgico è perfettamente riuscito,  onirico e inquietante, nel quale Licia Lanera si impone sugli altri due attori per le sue capacità metamorfiche strabilianti (mentre Spagnulo e Longo, dopotutto,  sono solo solo se stessi) e dove il dialetto Pugliese (di cui la compagnia fa vanto in più di uno spettacolo) restituisce estrazione sociale e provenienza geografica dei protagonisti, nella scelta  di  tradurre l'accento della lingua inglese  con il dialetto (che è ben altra cosa) discutibile e poco legante (lo spettatore è venuto a vedere una rassegna di drammaturgia inglese e si ritrova a Pescoluse) ma che stavolta è funzionale alla messinscena e meno invasiva del solito grazie all'uso stramisurato che Lica Lanera ne fa. Uno spettacolo riuscito pur nella sua cripticità.

Visto il 02-04-2011
al Belli di Roma (RM)