Lirica
HIN UND ZURüCK - L'HEURE ESPAGNOLE

Il Tempo, grande scultore

Il Tempo, grande scultore
Ancona, teatro delle Muse, “Hin und Zurück” di Paul Hindemith e “L'heure espagnole” di Maurice Ravel IL TEMPO, GRANDE SCULTORE Il teatro delle Muse continua con coraggio ammirevole ad aprire la stagione lirica con opere del Novecento poco rappresentate, scelta condivisibile e da sostenere del direttore artistico Alessio Vlad. All'interesse della critica si somma quello del pubblico, stimolato da iniziative collaterali che hanno il merito di approfondire le scelte di programmazione. In questo caso poi l'interesse era massimo, essendo le due partiture poco rappresentate e, insieme, credo mai prima, quanto meno in Italia. Così le Muse si pongono come riferimento non solo regionale ma addirittura nazionale. Hin und Zurück appartiene al periodo della maturità di Hindemith; scritta nel 1927 ed andata in scena la prima volta a Baden-Baden, questo “sketch con musica” è un brevissimo atto unico (meno di 15 minuti) in cui la vicenda, giunta al culmine, torna al punto di partenza. Robert torna a casa con un regalo per la moglie, mentre la cameriera recapita una lettera alla moglie Helene, la quale riferisce che a scriverle è la sarta ma, messa alle strette, confessa essere la missiva dell'amante. Robert la uccide con un colpo di pistola e poi si butta dalla finestra. Appare un saggio che rovescia il tempo, per cui l'azione riprende ma al contrario: Robert rientra dalla finestra, Helene si rialza e dichiara che a scriverle è un amante anzi la sarta, quindi Robert le consegna il regalo. La musica è lucida e tagliente, pulsa ritmicamente a sottolineare lo scorrere del tempo con sottili venature jazz. Il linguaggio tonale è crudo e guidato da una ferrea logica costruttiva. L'heure espagnole va in scena per la prima volta a Parigi nel 1911. Una quindicina di anni separa le due composizioni ma lo stile è molto lontano, inserendosi Ravel nel solco del recupero della tradizione musicale francese, pur avendo ben presenti le innovazioni contemporanee. L'atto unico dura circa un'ora ed è ambientato nella casa-bottega di un orologiaio, dove la moglie attende l'amante, disturbata da un mulattiere che attende l'orologiaio. Arriva, dopo l'amante-studente, anche uno spasimante-banchiere a complicare la vicenda, anche se Conception sembra più attirata dalal muscolarità e fisicità del mulattiere. Il rientro del marito porta a un inaspettato lieto fine. Il tempo, anzi lo scorrere del tempo, è l'elemento che unisce le due opere. Il tempo visto come tempus fugit da cogliere nell'attimo transeunte ma anche come scultore, plasmatore delle vicende ed impulso alle scelte comportamentali. Il contrasto musicale tra le due è stato ben reso dal maestro Bruno Bartoletti, conoscitore della musica del Novecento a cui si avvicina sempre con entusiasmo e baldanza giovanile, a dispetto dei suoi ottant'anni. Nonostante una annunciata indisposizione, Bartoletti è padrone della buca, che dirige in sincrono con il palcoscenico, sia nel piccolo organico con pianoforte di Hindemith che nel più polposo Ravel. In entrambi la Filarmonica Marchigiana è parsa a proprio agio. L'operazione convince, soprattutto dal punto di vista visivo, grazie al lavoro di un artista quale Stefano Poda, autore di regia, scene, costumi, luci e coreografie. Poda crea rappresentazioni di grande estetismo e di rarefatta bellezza formale, dense di simboli che rimandano alle partitura e ai libretti ma anche alla sua personale cifra stilistica. Alla staticità della scena si contrappongono i movimenti di cantanti e mimi-ballerini, i quali propongono gli stessi simboli iconograficamente inseriti nella scena e, al tempo stesso, attraversano il palco con la lenta, ieratica, quasi sacrale modalità che tanto ci aveva affascinato nella Thaïs del Regio di Torino (recensione presente nel sito). Poda stupisce con una cifra decadente dal punto di vista contenutistico ma barocca dal punto di vista formale che si appalesa sul palco in immagini di grande impatto e dalla cromia decisa. Hin und Zurück (andata e ritorno) è delirante e lascia più spiazzati gli spettatori. Si svolge in uno piccolo spazio bianco e nero a proscenio delimitato da un fondo a specchio interrotto al centro, dove si vedono i due contrappesi di un orologio a pendolo. Dal soffitto pendono le lettere che formano il titolo dell'opera, richiamando le avanguardie e il paroliberismo futurista che certo Hindemith aveva ben presente, come si vede dalla copertina dello spartito originale. I protagonisti sono in scena raddoppiati da figuranti, i quali nel “ritorno” continuano l'azione originaria, mentre i protagonisti vivono il rovescio, tornando indietro. La zia di Helene, indifferente a quello che capita intorno (e certo anche allo svolgersi del tempo) non è dedita all'uncinetto, ma, con fare stralunato, è seduta a terra circondata da scarpe rosse. L'abito della protagonista ricorda i vescovi delle sculture di Manzù, quelle cappe lunghe e rigide come corazze avvolgenti. Lo scorrere del tempo è sottolineato dalle lancette rosse sulla parete a specchio ed esaltato dalle movenze dei mimi: i movimenti delle braccia rimandano alle lancette. Invece per L'heure espagnole la scena è più sontuosa ed è dominata da nero e rosso per un aggancio con la Spagna. Mi è parso che il pubblico abbia seguito più agevolmente questa parte. Sulla scena: da un lato i meccanismi di orologi (il tempo meccanico), dall'altro clessidre di vetro (il tempo organico), al centro una scala che culmina con una cascata d'acqua (il tempo della Natura). Un pendolo di lava nera (o argento, a seconda delle luci), oscilla sempre come il pendolo di Foucault. La parete di fondo è nera e butterata come i quadri di Burri: l'azione del tempo sulla materia. I personaggi sono caratterizzati nell'abbigliamento: post-it per lo studente innamorato (una cascata di petali rossi accompagna il suo ingresso, petali che sono anche attaccati alla sua giacca), banconote per il finanziere, gonna usata come muleta per Conception. Le coreografie hanno parte importante, a cominciare dall'inizio: il movimento a sei dei ballerini è molto suggestivo ed evocativo della pressione del tempo e della progressione della vita, inesorabili e inevitabili. I mimi tornano più volte, sempre a ricordare lo scorrere del tempo ed a simboleggiare meccanismi marca-tempo. Sonia Ganassi ha bella voce, usata con sapienza. Giovanni Battista Parodi in Ravel supera gli altri per sicurezza di timbro e piacevolezza di colore. Adeguati Vicenç Esteve, Nicolas Rivenq e Thomas Morris per vocalità e presenza scenica. Perfetti i mimi e le comparse. Buona la presenza di pubblico, alla fine moltissimi applausi. Visto ad Ancona, teatro delle Muse, il 22 gennaio 2010 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Delle Muse di Ancona (AN)