“Tutto scorre, ogni apparizione ha forma effimera”, con queste parole tratte dal XV libro delle Metamorfosi di Ovidio, Davy Pieters introduce le linee fondamentali del suo spettacolo How did I die, che arriva alla Biennale Teatro 2018. Se tutto è destinato a passare, sembra dirci il regista olandese, allora nulla può essere interpretato in modo univoco.
Ecco, dunque, che la ricostruzione dei fatti, come accade alle indagini della polizia scientifica, appare la modalità più pertinente per appurare la verità. Ma le verità possono essere manipolate e la cultura visiva e tecnologica contemporanea possiede gli strumenti per consentire tali manipolazioni.
Come sono morto
How did I die recita il titolo originale, è questo il plot dello spettacolo, ovvero il racconto di una morte, o meglio di un omicidio, letto attraverso una catena di associazioni messe in scena prevalentemente a ritroso. Una giovane donna viene uccisa, ma il probabile assassino e il movente vengono smontati di continuo, grazie all’aggiunta di particolari, quasi sempre minimi o apparentemente insignificanti, che contribuiscono a modificare l’impianto della storia. E’ lo spettatore il vero detective, è chiamato infatti a ricostruire la vicenda che davanti ai suoi occhi si svolge a ritroso o in avanti, esattamente come un video quando viene lavorato dal suo editor. La ricostruzione di una vicenda, in definitiva, avvicina alla verità o può risultare fuorviante?
La verità si costruisce
La verità non è sempre e solo un dogma, è innanzitutto una somma di più verità. Questo vuol dire che una verità si può sempre costruire e modelli di variabili capaci di influire su tale costruzione sono riproducibili. Per questo Pieters ritiene che, quando le persone non comprendono, hanno bisogno di inventare una narrativa proprio per spiegare l’inspiegabile. E lo spettacolo è appunto questo: mostrare il bisogno di delimitare cause, effetti o conclusioni logiche di qualcosa, la vita appunto, che per sua natura è invece caotica e spesso incomprensibile. I tre bravissimi interpreti, ottima razza di performer ai quali Latella ha intitolato questa edizione 2018, riescono a dare la misura di una storia che si azzera, torna indietro ma poi accelera in avanti, mentre i movimenti del corpo si scompongono, reiterano scatti o catturano immobilità.
Purtroppo non sempre le catene associative risultano così chiare come il regista probabilmente immaginava e lo spettatore, in alcuni momenti, smarrisce il suo compito di detective, annaspando di fronte a collegamenti troppo labili. Lo spettacolo, tuttavia, possiede ritmo e ironia, così i nostri tre attori/performer/personaggi sembrano non prendersi mai troppo sul serio: hanno compreso che trattare la verità come una finzione è l’unica via d’uscita. E l’unico modo, in fondo, di fare teatro.
Spettacolo: How did I die
Visto al Teatro alle Tese di Venezia.