Cap. I - "Antonuccio si masturba"
Prima tappa di un percorso più ampio che accompagnerà l’intero arco della vita di tre fratelli, I Capitoli dell’Infanzia di Davide Enia esplorano la fase di crescita che va dall’adolescenza alla maturità.
“Antonuccio si masturba” è il primo dei due capitoli e come rivela inequivocabilmente il titolo, esplora, attraverso racconti e aneddoti, quella fase del tutto fisiologica ed “esuberante” che caratterizza l’adolescenza di ogni ragazzo.
I tre fratelli sono i protagonisti della storia ma c’è anche lo zio Concetto che addestra piccioni e dispensa consigli ai nipoti, c’è mamma Fiore che “osserva con occhio di sfida il mare nero e oscuro” che le ha portato via, un giorno d’inverno, il pescatore Toti, padre dei suoi tre figli.
C’è Corradino “Quattrodita”, l’amico stupido, Gennarino, innamorato perdutamente di Maria alla quale non riuscirà mai a confessare il suo amore perché morirà troppo presto, sbranato da un branco di cani neri, sul Monte Cuccio.
Angelino è il più grande dei fratelli, “bello come un agosto”, da grande vuole fare la guerra e sarà proprio il campo di battaglia a vederlo morire, “due volte”.
Poi c’è Antonuccio, il “mezzano”, ha 13 anni ed è nell’età del cambiamento, dell’evoluzione, della scoperta, delle prime delusioni, dei primi innamoramenti e delle prime sofferenze.
Infine c’è Asparino, il fratello più piccolo, che sogna di abitare vicino al mare e “desidera ardentemente abbracciare gli alberi”.
Antonuccio, protagonista indiscusso di questo primo capitolo, ruggente ed esuberante come i suoi tredici anni lo impongono, parla in sogno col pesce squalo, scopre la sessualità attraverso il gioco ed è agli occhi di tutti “caro e prezioso come un ricordo che si è disposti a morire per difenderlo”.
Antonuccio che ingaggia gare con gli amici a chi sputa più lontano e vince sempre nella masturbazione collettiva, perché lui ha un segreto, lui è il numero nove, come gli ripeteva sempre il padre; e poi c’è “Labbra Dorate”, una stupida femmina, che vale dieci punti ma che è anche l’unica, vera testimone, inconsapevole, del cambiamento di Antonuccio, capace di farlo tremare e di accompagnarlo per mano verso il primo, struggente innamoramento.
A far da cornice alle avventure di Antonuccio e dei personaggi che lo circondano, una Palermo infuocata dal sole d’agosto, seducente e autentica, piena di contraddizioni e segreti ma che, almeno per questa volta, ci mostra un’altra delle sue tante facce, non sempre e non solo quella mafiosa.
Lo spettacolo di Davide Enia affascina e conquista non tanto o non solo per l’autenticità e la bellezza delle storie che ci racconta, quanto per la bravura e la sensibilità strepitosa del suo creatore-interprete. Il giovane cantastorie palermitano regala al suo pubblico uno spettacolo che è prima di tutto, forse, un’esperienza catartica attraverso la quale allo spettatore si apre un mondo dove ciascuno ritrova e ripercorre parte delle proprie esperienze e conoscenze passate.
Autore e interprete di numerosi spettacoli che gli hanno fruttato fama e premi (tra i quali nel 2003 il premio UBU speciale "per la nascita di un nuovo cantastorie”) Enia domina la scena, dosando con equilibrio e straordinaria armonia tutti gli elementi scenici, dalla voce al tono, dal ritmo al gesto, dallo sguardo al canto fino alle musiche che, suonate dal vivo da Giulio Barocchieri e Rosario Punzo, accompagnano e talvolta guidano le parole dell’abile cantastorie.
Genova, Teatro Duse 24 marzo 2009
Cap. II
“Piccoli gesti inutili che salvano la vita”
Piccoli gesti inutili, come il dolore si fa poesia
Ambientazione quasi onirica, luce soffusa, melodie lente e dilatate, scandite dalle corde di una chitarra elettrica ci restituiscono una dimensione quasi fantastica. Dalla penombra si fa strada un improvviso flusso di luce e le note, molli e prolungate, diventano accenti rapidi che accompagnano le parole del raffinato cantastorie portandoci nelle viscere più profonde della realtà umana.
Se il primo Capitolo ci racconta “di quel momento di età, ruggente e imperioso” che caratterizza l’adolescenza di un ragazzo di tredici anni, questo secondo Capitolo ci riporta inevitabilmente ad una cruda e amara realtà; il dolore ha il sopravvento ed è il filo sottile che unisce ogni frammento di vita. I sogni, le certezze, le gioie e la spensieratezza di bambino vengono crudamente fagocitati dalla dolorosa quotidianità del buio di una miniera.
Siamo sottoterra, e Carmelo riceve dai suoi compagni di oscurità una lettera, un messaggio d’amore della sua Nina.
E’ così che comincia il secondo Capitolo dell’Infanzia, raccontato attraverso i ricordi e la voce malaticcia di Carmelo.
Carmelo è il cuoco della miniera, protagonista scanzonato di questo capitolo, fratello del già noto Corradino “Quattrodita”, che prepara ogni giorno la caponata per i suoi compagni, momento di alta poesia culinaria, e conosce un segreto per addolcire le “ferite” dei suoi compagni, inferte dalle lacrime di sale che scorrono giù dalle rocce.
La Palermo infuocata dal sole d’agosto lascia qui il posto alla dolorosa e buia realtà della miniera dove i “picciutteddi” più magri ed esili vengono spediti nelle vene più strette e profonde della terra alla ricerca di nuove caverne; dove si ruba lo zucchero per addolcire le sofferenze dei compagni; dove si “sputa e si piscia” dentro la caponata destinata ai padroni e si scava tra le macerie alla ricerca dei compagni sepolti dalla frana.
La realtà uccide i sogni e la spensieratezza infantile e ciò che rimane alla fine di tutto sono i ricordi che ti porti dentro.
Carmelo racconta con piglio quasi fanciullesco, ricorda e si intrattiene con chiunque possa fargli dimenticare l’oscurità della miniera.
Parla con l’amico Totò, col fratello Corradino, che, dai rami di un albero, chiede a Carmelo sempre la stessa storia, quella dell’Uccello Grifone che salvò il re e del flauto d’osso che rivelò l’orribile fratricidio.
Vorrebbe tornare a correre sotto la pioggia, Carmelo, per i vicoli di Palermo e fermarsi finalmente a osservare quel palazzo che ha visto miliardi di volte senza mai guardarlo; ricorda le nottate passate in spiaggia ad aspettare l’alba e i giochi spensierati con gli amici, Angelino, Antonuccio e Asparino, come quando “pisciando in cerchio” riuscivano a fare un’enorme palla di pipì.
“Piccoli gesti inutili”, come immaginarsi una fidanzata che non è mai esistita o cucinare la caponata di melanzane (“ché in miniera dove le trovi le melanzane?!“); piccoli gesti che aiutano a dimenticare il buio e le sofferenze, salvandoti dall’angosciosa quotidianità.
Originalissimo interprete del “cuntu” siciliano, Davide Enia colpisce, certamente, per la sua straordinaria capacità di raccontare le emozioni ma anche, e forse di più, per la leggerezza e la delicatezza con cui ce le racconta.
Una performance interessante, ben costruita e recitata con estro e vivacità, in cui le parole si fanno suoni e i gesti, immagini.
Un narratore seducente e appassionato, un interprete attento e ispirato, che tra note di delicata poesia e accenti di sapore vagamente verghiano, costruisce uno spettacolo emozionante e coinvolgente, dimostrando una vitalità e una presenza scenica davvero sorprendenti.
E mentre l’ala nera dell’Uccello Grifone oscura Palermo dopo la frana che ha strappato alla vita il “veloce” Bastiano, dai rami secchi di un albero sbocciano fiori rossi, in un crescendo struggente di emozioni e applausi.
Genova, Teatro Duse 27 marzo 2009
Visto il
al
Eleonora Duse
di Genova
(GE)