Lirica
I CAPULETI E I MONTECCHI

Genova, teatro Carlo Felice, …

Genova, teatro Carlo Felice, …
Genova, teatro Carlo Felice, “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini ROSSO E NERO, AMORE E MORTE Nei Capuleti e Montecchi Vincenzo Bellini, abbandonata ogni magniloquenza, si concentra sui sentimenti dei protagonisti con un canto elegante e raffinato, in cui ornamenti e virtuosismi non sono più fine a sé stessi ma divengono espressione del sentire e di un amore impossibile e sublimato. Singolare è la vicenda compositiva: a Bellini viene concesso poco tempo dall'impresario della Fenice di Venezia, così egli adotta con leggere modifiche il libretto di Felice Romani per “Giulietta e Romeo” del compositore marchigiano Nicola Vaccaj (di cui si ha una registrazione dal vivo del 1996 del teatro Pergolesi di Jesi pubblicata da Bongiovanni); ne cambia titolo e “rivisita” la partitura della sua Zaira, fischiata poco prima al Regio di Parma (allora teatro Ducale). La vicenda shakespeariana viene notevolmente ridotta, l’ambiente e gli altri personaggi hanno scarso rilievo, essendo il melodramma concentrato esclusivamente sulla coppia d’amanti. Tutto è già concluso ed irrevocabile, crisi e catastrofe avvengono all’interno di ventiquattro ore, dipanandosi lungo la melodia belliniana infinita e claustrofobica dalle lunghe frasi asfittiche che non lasciano scampo. La stagione del Carlo Felice si è inaugurata con l'allestimento di Robert Carsen (Opéra Bastille, 1996), una regia che non ha la forte impronta di altre produzioni del canadese ma che ha il pregio di narrare chiaramente la vicenda, facendo trasparire la claustrofobicità della vicenda, che ha unica via di uscita nella morte. Michael Levine crea un impianto scenico minimalista e funzionale, alte mura rivestite di pannelli rossi che scuriscono nel nero verso l'alto a denotare una invalicabilità che è in primis nella mente e nel cuore. Le pareti divisorie, nel finale del primo atto, al momento dello scontro fra Capuleti e Montecchi, sono montate su di una piattaforma girevole per cambiare gli squarci visivi con l’aiuto delle luci azzeccate di Davy Cunningham. Solo due colori, il rosso e il nero, per esemplificare in modo immediato una vicenda di amore e odio, abnegazione e passione, sangue e morte. Scarni arredi di sapore monastico annegati in un ambiente sviluppato in altezza, un lungo tavolo schiacciato contro il sipario schizzato di sangue, un piccolo lettino sormontato da una croce, una cassapanca dove Giuletta custodisce il suo abito, poche sedie. Lungo una prospettiva obliqua vaga Giulietta fra sedie rovesciate e cadaveri guelfi e ghibellini, che si rialzeranno al rallentatore in una danza macabra dominata dal clarino quando la giovane si affloscerà a terra come un fiore reciso per effetto della pozione (ecco il Carsen che ci aspettiamo). Il sepolcro è un rettangolo disegnato sul pavimento dalla luce che filtra da un vano scale, una tomba che Romeo non osa avvicinare lasciando sgorgare dall’oscurità un lamento intimo e disperato; poi oltrepasserà la linea d’ombra per spirare sull’altare di luce insieme a Giulietta. Un'opera come questa può essere allestita solo se si hanno a disposizione due protagoniste di eccezione. Sonia Ganassi è un Romeo caratterizzato da intensità ed emozione lontane dalla routine. La voce è sicura, la linea di canto perfetta e fedele ai dettami del belcanto, il canto trascolora con bellissimi passaggi dal forte al piano, dal grave all’acuto, con tale armonia e intensità da restare soggiogati; parole e frasi sono scolpite con espressività vibrante e mutevole, le colorature non sono vuoti esercizi di stile ma comunicano ardore, energia, disperazione. Gli affondi nel grave sono intensi ma misurati, il canto appassionato gronda di calda espansività anche negli acuti. Infatti per Bellini la virilità di Romeo è basata in modo esclusivo su un processo astrattivo dell'eros che, nella sua ambiguità sessuale, ne fa proiezione di quello di Giulietta, fondendoli insieme piuttosto che differenziandoli: qui le due protagoniste hanno comunicato perfetta sintonia. Mariella Devia è una Giulietta straordinaria. La voce è consistente, intensa; agile il registro superiore, suggestive le mezzevoci, cesellato il verso nella dizione. I passaggi ad alta quota la trovano sempre perfetta e mai forzata, il fraseggio è chiaroscurato per rendere la sua Giulietta più volitiva ed impetuosa che virginale, al punto da sembrare spesso lei il motore dell'azione, lei la protagonista, e non Romeo. Una claque (superflua) ha salutato a scena aperta la sua esibizione. Nicola Ulivieri si conferma cantante di solido mezzo vocale, caldo ed espressivo, duttile ed intenso nel rendere un Lorenzo tormentato. Corretto il Tebaldo di Dario Schmunck, debole il Capellio di Deyan Vatchkov, fisicamente imponente. Donato Renzetti accompagna con mestiere l’orchestra di casa con buoni risultati, riuscendo a restituire di volta in volta la giusta atmosfera, marziale e veloce nella sinfonia introduttiva per rendere le conflittualità politiche, privilegiando poi tempi lenti e sognanti per mettere in rilievo i risvolti elegiaci e malinconici della partitura. Soprattutto nel primo atto l'orchestra è parsa un poco pesante e imprecisa negli attacchi. Buona la prova del coro, limitato alla sezione maschile, preparato da Ciro Visco. Teatro gremito, pubblico elegante per la serata inaugurale della stagione che ha tributato piene ovazioni, meritatissime a parer nostro, alle due protagoniste. All'esterno distribuzione di volantini da parte di alcune sigle sindacali: la migliore risposta ai tagli scellerati previsti dal governo è andare in scena, ma va spiegato giustamente al pubblico il futuro incerto del teatro italiano. Visto a Genova, teatro Carlo Felice, il 24 ottobre 2008 Francesco Rapaccioni e Ilaria Bellini
Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)