Giulietta: bella e convincente

Giulietta: bella e convincente

Che ne I Capuleti e i Montecchi il libretto di Romani non sia del tutto all’altezza della musica composta da Vincenzo Bellini è realtà evidente per chiunque si accinga alla visione di quest’opera: l’azione non sempre è convincente, alcuni personaggi risultano sbiaditi e soprattutto mancano quel pathos e quella tensione che rendono grande un capolavoro teatrale. Proprio partendo da questo presupposto Arnaud Bernard ha pensato di ambientare la vicenda in uno spazio museale, così da rendere anche visivamente l’idea di un’opera d’arte protetta da una teca, un’opera da osservare da lontano che non sia possibile toccare o afferrare completamente. All’apertura di sipario, durante la sinfonia, il bello spazio scenico ideato da Alessandro Camera appare brulicante di operai che trasportano quadri di varie dimensioni, ora imballati ora no, ma ugualmente pronti per essere issati e inchiodati alle pareti di una pinacoteca in allestimento, ancora male in arnese. A tratti fanno il loro ingresso in scena addetti alle pulizie che spazzano e lucidano l’assito del pavimento. Ed è da un taglio apparso improvvisamente al centro di una di queste grandi tele appoggiate al muro di fondo che sembrano essere sbucati i protagonisti della vicenda, abbigliati con costumi di foggia cinquecentesca, pensati da Carla Ricotti, con un chiaro rimando al genio shakespeariano. A ogni intervento dei dipendenti del museo o del personale addetto alle pulizie, che approfitta dei vari intermezzi musicali per uscire e sbrigare le proprie faccende, essi si bloccano riprendendo la posizione originaria che avevano all’interno del dipinto. L’idea dei quadri che prendono vita e raccontano allo spettatore le vicende che sono su di essi raffigurate è tutto fuorché banale e di per sé appare piuttosto efficace. Il punto debole dell’allestimento sta, invece, nella serialità dei movimenti di massa che appiattiscono un poco i caratteri dei personaggi. Nel finale la vicenda si completa: tutti sono raccolti attorno ai cadaveri dei due amanti, quando scende dall’alto una cornice che li fa tornare, immobili, all’interno del dipinto da cui inizialmente erano usciti.

Bella e convincente la Giulietta di Irina Lungu che si rivela una belcantista di grande qualità e un’interprete a tutto tondo: il personaggio della fanciulla innamorata è dolce ma deciso, il fraseggio estremamente morbido, l’acuto limpido e squillante. Aya Wakizono è un Romeo dal timbro gradevole, ma leggermente sbiadito nelle tonalità gravi, tutto sommato convincente per quanto concerne la presenza scenica, caratterizzata da un cipiglio ardimentoso che di certo non guasta. Buono anche il Tebaldo di Shalva Mukeria che tenta in ogni modo di sdoganare un personaggio di per sé non molto sfaccettato; la tecnica è sicura, la voce ben proiettata, il fraseggio ben curato. Romano dal Zovo ci offre un Lorenzo dalle tonalità piacevolmente brunite, appassionatamente proteso alla salvaguardia della sua protetta. Luiz-Ottavio Faria è un Capellio corretto.

Direzione vigorosa per Fabrizio Maria Carminati, il quale sottolinea bene l’afflato lirico che permea la partitura e si mostra sempre attento a mantenere un giusto equilibrio tra buca e palcoscenico. Il suono è morbido, ma ben tornito, ricco a tratti di una sensualità non enfatizzata ma presente e soffusa, che ben si adatta al clima sentimentale che pervade l’opera. Buona nel complesso la prova del Coro dell’Arena di Verona.