Lirica
I CAPULETI E I MONTECCHI

Il Castello Carrarese, edi…


	Il Castello Carrarese, edi…

Il Castello Carrarese, edificio dalla lunga storia e dall’importanza strategica per Padova, torna a rivivere con una serie di importanti eventi culturali. Dominato dalla sagoma incombente e maestosa della Torlonga, l’antica torre poi adibita ad osservatorio astronomico, l’ampio cortile del castello è ideale per ospitare serate musicali. Dopo un primo tentativo nel 2013, con l’allestimento di L’elisir d’amore, solo da quest’estate il luogo è operativo a tutti gli effetti. La scelta di inscenare, in coproduzione con il Bassano Opera Festival, I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini rivela l’intento celebrativo, in occasione dei quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare la cui tragedia fu tuttavia solo in parte d’ispirazione per l’opera belliniana. Felice Romani si avvalse, per il libretto, di fonti italiane e francesi: da La sfortunata morte di dui infelicissimi amanti del religioso Matteo Bandello al Giulietta e Romeo di Luigi Scevola, con elementi attinti dalla tragedia Roméo et Juliette di Jean-François Ducis.

I tempi stretti, a causa di un forfait di Giovanni Pacini, indussero l’autore del testo a ritoccare il libretto di Giulietta e Romeo, steso qualche anno prima per Nicola Vaccai. Bellini, secondo un’abitudine ancora in voga nell’Ottocento, utilizzò alcuni brani da opere precedenti, per la precisione Adelson e Salvini e Zaira. Il successo ottenuto all’epoca, al Teatro La Fenice, è riscontrabile tutt’oggi nel calore con cui gli ascoltatori accolgono il lavoro profondamente legato, nell’immaginario collettivo, al tragico amore dei due giovani veronesi.

Nonostante il periodo vacanziero, a Padova il pubblico ha seguito numeroso la nuova produzione, affidata per intero alle cure di Paolo Giani. L’idea alla base della messinscena, evidentemente influenzata dagli insegnamenti di Stefano Poda, di cui Giani è stato collaboratore, è volta all’inconciliabile conflitto tra le due famiglie stilizzate, sul palcoscenico, da due statue in pezzi: da un lato un imponente busto maschile, che parrebbe rifarsi al torso del ‘Fauno medici’, dall’altro una testa riversa disegnano uno spazio impattante con l’architettura d’intorno. Il gioco delle luci contribuisce a valorizzare la narrazione. Giani sfrutta gli edifici presenti posizionando sovente coro e comparse, queste ultime intente a vere e proprie esibizioni di scherma, sull’ampia balconata del castello dove hanno luogo anche brevi azioni pantomimiche. Agli artisti viene chiesta una certa duttilità che è rintracciabile nel dinamismo attoriale di Annalisa Stroppa. Nei panni en travesti di Romeo, il mezzosoprano ha le carte vincenti per rendere convincente il belcanto belliniano. L’omogeneità in tutta la gamma, a parte alcune carenze nel registro grave, si accosta ad un fraseggio policromo che rende giustizia al timbro vellutato e brunito. La musicalità, abbinata al controllo dell’emissione, emerge nell’intelligenza con cui viene variato il da capo della cabaletta “La tremenda ultrice spada”.

Al suo fianco appare un po’ sbiadita la Giulietta di Ekaterina Sadovnikova. Il soprano russo risolve il ruolo della giovane innamorata con un canto fin troppo composto ed esile, spesso privo del carattere necessario a rendere efficaci gli slanci dettati dalla passione e dal triste destino. La sua prestazione è comunque in grado di tratteggiare, per sommi capi, le caratteristiche principali del personaggio, dando prova di saper gestire la scrittura. Giordano Lucà torna a Padova, dove aveva debuttato nel 2010 con il Duca di Mantova. Si nota qualche progresso tecnico che, specie nel primo atto, gli permette di affrontare con la dovuta tranquillità la temibile scena iniziale di Tebaldo. Con il procedere della recita emergono alcune disomogeneità, specie in zona acuta, e si colgono rigidità scenica e fraseggio poco variegato. Funzionali, ma modesti, Matteo D’Apolito, Lorenzo, e Daniel De Vicente, Capellio. Il Coro città di Padova, sempre affidato alle cure di Dino Zambello, denota problemi d’intonazione e sintonia tra le voci. Il direttore Andrea Albertin, apprezzato lo scorso anno per la capacità di gestire con prudenza e preparazione Così fan tutte, risulta ora meno convincente. La concertazione è al principio sufficientemente fluida ma procede con alcuni incidenti tra buca e palcoscenico e una agogica fin troppo distesa. L’accompagnamento riservato alle esibizioni solistiche si concentra sulla cantabilità e l’attenzione per i dettagli.

Con il nuovo direttore artistico e musicale Marco Angius, l’Orchestra di Padova e del Veneto sta udibilmente progredendo. La compagine patavina appare più coesa, pulita negli attacchi e precisa nell’intonazione. Gli interventi affidati a singoli strumenti, quali il corno, il clarinetto, l’oboe, l’arpa, evidenziano una specifica tinta drammatica, sottolineata dall’impegno esecutivo. Accoglienze festose al termine, con vivo entusiasmo per Annalisa Stroppa.

Visto il 31-08-2016
al Tito Gobbi di Bassano del Grappa (VI)