Lirica
I DUE FOSCARI

Cupa atmosfera per i Foscari

Cupa atmosfera per i Foscari

A Trieste, dopo un’assenza di quasi trent’anni, tornano “I due Foscari ”, opera giovanile da alcuni ritenuta debole dal punto di vista drammaturgico in quanto monocorde e povera di azione, ma sperimentale e innovativa sul piano stilistico per la ricerca del colore orchestrale, l’uso della reminiscenza tematica,  una struttura musicale che supera la divisione in numeri chiusi alla ricerca di maggiore continuità drammatica.

L’allestimento ora in scena è una nuova coproduzione della Fondazione triestina con il teatro di Bilbao con regia di Joseph Franconi Lee e scene di William Orlandi, uno spettacolo tradizionale e curato che funziona per mettere in luce i nodi drammaturgici dell’opera.
La scena è realizzata con pannelli lignei scorrevoli a tutta altezza che formano un contenitore curvo che suggerisce  le geometrie di una sala del Consiglio piuttosto che una prigione sotterranea.
Il legno scuro, le pareti che tendono a chiudersi, le quinte laterali che isolano i protagonisti e le luci buie contribuiscono ad accentuare la tinta fosca propria dell’opera e la scena a quinte mobili risulta particolarmente efficace in un melodramma caratterizzato da numerosi cambi scena (dove spesso le arie in due movimenti richiedono per  “conseguire il giusto effetto” un’uscita ed una rapida entrata successiva).
All’inizio  irrompono dal buio  i membri del Consiglio in  abiti di tulle rossi e neri  intenti a firmare la condanna, un flash back che chiarisce l’antefatto e introduce il plumbeo clima di congiura che aleggia sull’opera. Venezia, divenuta città degli intrighi di un potere oligarchico e tirannico, è sempre presente sullo sfondo, inaccessibile e lontana, un miraggio per chi è condannato all’esilio come Jacopo, un ossessivo richiamo alla crudele ragion di stato per il Doge  e si mostra fra squarci di cielo dai toni pastello che ricordano dipinti di scuola veneziana e vedute lagunari dal suggestivo taglio orizzontale che rischiarano il fondo della scena.
La cupa atmosfera trova una divagazione gioiosa all’inizio del terzo atto e il palcoscenico si affolla di maschere in abiti azzurrini e vaporosi, vivaci vessilli che sventolano leggeri in una sinfonia di turchesi solo qua è la screziati di pennellate nere che con tocco impressionista richiamano la nota tragica dominante.
Nel momento dell’addio al figlio, la veduta di Venezia dello sfondo viene portata in primo piano dal gioco di quinte e si tinge di un rosso intenso per marcare il dolore straziante del padre e l’atto d’accusa nei confronti della spietata città. 

Un ottimo cast vocale ha contribuito alla valorizzazione e alla riscoperta   dell’opera.
Fra tutti si distingue Stefano Secco, che, alle prese con l’ “ingrato” ruolo di Jacopo Foscari, conferma maturità artistica e grande  intelligenza interpretativa. Del ruolo offre una lettura vigorosa e al tempo stesso introspettiva con un’esecuzione musicale sfumata, giocata sul fraseggio, varietà di accento e sul canto sulla parola che superano i limiti di un personaggio poco caratterizzato dal compositore. La voce lirica, supportata  da buona tecnica e dalla consapevolezza dei propri mezzi sostiene con gusto le impennate verso l’acuto che risultano espressione di un impeto romantico anziché mere esibizioni di  forza.
Di tutti i personaggi quello di Lucrezia Contarini è il più appassionato e richiede un’interprete dal forte temperamento. Grinta che Maria José Siri possiede e che, alle prese con una scrittura decisamente impervia, non si risparmia affatto, eseguendo tutto quanto scritto e svettando sicura nei duetti e nei concertati.
Nella parte del Doge il giovane Luca Salsi è chiamato a confronto con la  “storica” interpretazione di Piero Cappuccilli di cui a Trieste, dove fu Foscari in tre edizioni, è ancora viva la memoria.
Apprezziamo ora vitalità e sicurezza di una voce giovane, la morbidezza del timbro e, se pur il canto non possieda ancora piena varietà espressiva, trova la giusta tinta malinconica e dolente del padre e ben risolve  i roventi scarti drammatici dell’uomo di stato. Un’esecuzione in crescendo che nel terzo atto ha letteralmente conquistato il pubblico.
Bene Alexander Vinogradov  nel ruolo di Loredano per la  bella voce  scura e ben controllata.
Corretti i comprimari: Asude Karayavuz è  Pisana, Saverio Bambi è  il senatore Barbarico, Dax Velenich un fante e infine Ivo Federico un servo del Doge.

Degna di nota la direzione di Renato Palumbo, incisiva e pulsante come si addice a un primo Verdi, ma senza traccia di pesantezza e ben calibrata, ricca di impennate melodiche e sfumature, traduce appieno il “colore” dell’opera verdiana. Inoltre, assecondata da un’orchestra ben affiatata, offre un accompagnamento preciso ai concertati e un buon  sostegno al  canto. Buona  la prova del coro preparato da Alessandro Zuppardo.

Pieno successo di pubblico nei confronti del titolo, dell’allestimento e di tutti gli interpreti.

Visto il
al Verdi di Trieste (TS)