Parma, teatro Regio, “I due Foscari” di Giuseppe Verdi
IL VERDI OSCURO
I due Foscari, tratta da un dramma di Byron su libretto di Francesco Maria Piave, è un’opera del primo Verdi, rinnegata in seguito in modo esplicito dallo stesso compositore per “la tinta e il colore troppo uniforme dal principio alla fine”. Questa malinconica opera giovanile senza un’autentica vicenda amorosa non è di facile presa sul pubblico, ma è interessante per l’attenzione alle tematiche politiche e la creazione di una figura paterna pervasa da un dissidio interiore fra pubblico e privato che prefigura personaggi della maturità. Lo stile compositivo è già maturo; l’orchestrazione raffinata introduce reminiscenze tematiche ripetute affidate agli strumenti solisti che accompagnano in guisa di leitmotive i personaggi principali evidenziandone i tratti interiori.
A Parma, in occasione del Festival Verdi, è stato proposto l’allestimento dei teatri di Bilbao e Trieste firmato da Joseph Franconi Lee, che rende comprensibile la vicenda con un movimento scenico curato e un contenitore minimale appropriato. La scena a tutta altezza di William Orlandi è formata da pannelli lignei che si aprono e si chiudono, scoprendo spazi curvi concavi o convessi che suggeriscono la stanza del Consiglio piuttosto che la prigione. Un gioco di quinte laterali ritaglia la scena creando con taglio verticale delle nicchie che isolano i protagonisti mettendone in evidenza il canto, mentre i tagli orizzontali offrono squarci del cielo e vedute della laguna.
All’inizio, sulle note dell’ouverture, irrompono dal buio i dieci membri del Consiglio in rossi abiti di tulle intenti a firmare la condanna, un flash back che chiarisce l’antefatto e introduce il plumbeo clima di congiura che aleggia sull’opera. Venezia ha perso la sua aura di ” Serenissima”, divenuta città degli intrighi in mano a un potere oligarchico e tirannico e la scena che si chiude ben suggerisce il clima oppressivo in cui sono immersi i personaggi.
La fosca atmosfera trova una divagazione gioiosa all’inizio del terzo atto e il palcoscenico si affolla di maschere in abiti azzurrini e vaporosi con una coreografia di ballerini dagli allegri copricapo.
Il lieto canto e la successiva barcarola creano un contrasto con la tinta dominante e sono messi in rilievo in modo pertinente da un cielo luminoso che rasserena il crepuscolo. Ma è solo una breve tregua, l’incalzare degli eventi reintroduce situazioni drammatiche e la veduta di Venezia con la chiesa di San Giorgio ritagliata sullo sfondo si tinge di rosso sangue per segnalare l’ingiusto esilio e la straziante separazione
Un buon cast ha contribuito alla riuscita di un’opera poco frequentata e di difficile esecuzione.
Nella parte impegnativa e davvero “ingrata” di Lucrezia Contarini Tatiana Serjan s’impone per presenza e temperamento, sfoggiando una voce ben controllata e di ragguardevole estensione che viene a capo dell’aspra parte trovando nel duetto con il Doge accenti commoventi. Non importa se il timbro non è dei più seducenti e la dizione un po’ confusa.
Nel ruolo di Jacopo Foscari Roberto De Biasio, nonostante qualche forzatura nella salita all’acuto e una tendenza a privilegiare il forte, se la cava con onore e si apprezza la presenza disinvolta e credibile, animata da giovanile baldanza.
Leo Nucci, malgrado la voce più opaca di un tempo, svetta su tutti per la capacità di trovare il giusto accento, con un fraseggio morbido e incisivo che coniuga sfumature struggenti a maestosa autorità, traducendo tutta la dinamica di un personaggio lacerato fra pubblico e privato. Un Doge particolarmente vecchio e straziato, con la mano tremante e il volto invecchiato, che sembra sostenere a fatica il peso del manto dogale, ma che esplode in tutta la sua rabbiosa veemenza in “Questa è dunque l’iniqua mercede”, risolta con sicurezza sorprendente. L’approccio interpretativo, tacciato da qualcuno come “esteriore”, invero scuote e fa breccia sul pubblico.
Roberto Tagliavini convince pienamente nel ruolo di Loredano per la voce scura di giusto colore e per un’interpretazione che non toglie nobiltà di rango al malvagio cospiratore.
Fra i comprimari Marcella Polidori è un’apprezzabile Pisana, Gregory Bonfatti il senatore Barbarico, Mauro Buffoli un fante e infine Alessandro Bianchini un servo del Doge
Donato Renzetti dirige con giusto vigore un’orchestra compatta ed equilibrata senza cadute “bandistiche” nei momenti di massimo sfogo propri del primo Verdi. Buon risalto trovano gli strumenti solisti che commentano le voci protagoniste: il clarinetto per Jacopo, la struggente dolcezza dei violoncelli per il Doge, l’impeto degli archi per Lucrezia.
Notevole la prova del Coro del Regio guidato da Martino Faggiani, nitido e trascinante, dal piglio quarantottesco, ottimo interlocutore nel confronto con il Doge.
Unica nota dolente un pubblico freddo e distante con un loggione particolarmente silente (nel bene e nel male): questa esecuzione avrebbe meritato molto di più.
Visto a Parma, teatro Regio, il 2 ottobre 2009
Ilaria Bellini
Visto il
02-10-2009
al
Regio
di Parma
(PR)