Lirica
I DUE FOSCARI

Milano, teatro alla Scala, “I…

Milano, teatro alla Scala, “I…
Milano, teatro alla Scala, “I due Foscari” di Giuseppe Verdi LA RAGIONE DI STATO Leggiamo nel programma di sala che “subito dopo il successo di Ernani, dato nel 1844 alla Fenice, Verdi sottoscrisse un contratto per comporre una nuova opera, che sarebbe stata rappresentata al teatro Argentina di Roma verso la fine di quello stesso anno. Verdi pensava di mantenersi nel solco tracciato con Ernani: avrebbe composto un'opera più concentrata sui conflitti personali che sui grandi effetti scenici; un'opera diversa da Nabucco e Lombardi, opere ricche di ampie scene corali, e più imperniata sulle pulsioni individuali e lo scontro tra opposti affetti. Per questo identificò un soggetto ideale in The two Foscari, il secondo dei due drammi veneziani di Byron”. Però il risultato di Verdi ha due limiti, la tinta generale del dramma, troppo scura e monotona, e la povertà dell'azione. Certamente non ha aiutato l'avere visto l'allestimento (andato in scena la prima volta nel 2003) la sera dopo la splendida, emozionante Alcina di Robert Carsen, ma lo spettacolo di Cesare Lievi, uno dei più importanti registi della prosa, è apparso datato e poco emozionante. La scena di Maurizio Balò introduce subito nella tinta cupa e claustrofobica dell'opera: pareti storte, aperte da porte incorniciate d'oro e finestre chiuse da inferriate da cui si vede o un nero totale oppure una sorta di nuvole ectoplasmatiche vibranti come spiriti tremuli, evanescenti. I rimandi alla città lagunare sono solo due gondole che passano sullo sfondo e gli spiriti, rappresentati con le tipiche bautte veneziane e le cappe nere, presagi di morte incombente. I sontuosi costumi storici sono sempre di Balò, di chiara impronta veneziana il vestito ufficiale del doge, simile al ritratto di Francesco Hayez sulla copertina del programma di sala e conservato a Brera, mentre il coro è in cappe uniformi rosso mattone e con le parrucche bianche, l'immobilità della ragione di stato. Appare come una nota stonata la prua di nave che si infila nell'interno sghembo nel terz'atto. La regia di Lievi mostra un solido mestiere teatrale ed è sostanzialmente tradizionale nella gestualità e nei contenuti; notevole è la capacità di muovere e disporre la massa corale negli spazi pieni di angoli. In primo piano il contrasto tra l'amore che lega padre e figlio e la ragione di stato che impone l'esilio a Jacopo Foscari, nonostante sia il figlio del doge Francesco (a nulla vale scoprire la macchinazione politica e l'innocenza di Jacopo: è troppo tardi per inceppare il meccanismo di morte). Però i personaggi sono poco scavati e l'azione stenta a catturare l'attenzione. La direzione di Stefano Ranzani (che ha sostituito l'annunciato Carlo Montanaro) mantiene tempi serrati e suono cupo ma opaco e omogeneo, un po' generico; i momenti migliori sono quelli in cui la figura del Doge campeggia da sola sulla scena. Leo Nucci è un Francesco Foscari di grande esperienza, misurato nella recitazione, come il ruolo dogale impone, ma non retorico e per questo efficace: il suo doge è scavato in ogni piega espressiva ed il canto è sfumato, intenso, esaltato da un timbro sempre bello e morbido. Accanto ad un personaggio di così forte rilievo, appare poco omogeneo lo Jacopo Foscari di Fabio Sartori, la cui recitazione è banale; la tessitura batte spesso in zona acuta e la linea del canto non è apparsa sufficientemente omogenea. Manon Feubel è una Lucrezia Contarini poco convincente; il registro alto è praticamente urlato, le pagine liriche non sono rese con la dovuta cura, anche per carenza di pianissimi e la ruvidità della dizione. Marco Spotti è un cattivissimo Loredano dalla voce cupissima; strattona i figlioletti di Jacopo che vogliono seguire il padre nell'esilio a Creta. Con loro, appropriati nelle brevi parti, Luca Casalin (Barbarigo), Alisa Zinovjeva (Pisana), Ramtin Ghazavi (fante) ed Ernesto Panariello (servo). Buona la prestazione del coro, preparato da Bruno Casoni. Teatro con qualche posto vuoto, pubblico freddino durante la recita, modesti applausi alla fine, non per Leo Nucci, acclamato. Visto a Milano, teatro alla Scala, il 26 marzo 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)