Odio implacabile e sete di vendetta: “I due Foscari” torna dopo 10 anni al Regio di Parma

I Due Foscari
I Due Foscari © Roberto Ricci

Dieci anni dopo l'ultima apparizione, torna al Festiva Verdi 2009 ed al Regio di Parma I due Foscari di Verdi. La direzione e la mise en scéne sono nelle mani di Paolo Arrivabeni e di Leo Muscato.

Dieci anni dopo l'ultima apparizione, torna al Festiva Verdi 2009 ed al Regio di Parma I due Foscari di Verdi. La direzione era allora di Renzetti, la mise en scéne di Franconi Lee; ora sono nelle mani di Paolo Arrivabeni e di Leo Muscato.

E' un'opera severa ed intimistica, parca di cabalette, I due Foscari, attraversata da cupi e sinistri bagliori, e non facile da accostare. Però estremamente personale. E' vero che, come si lamentava lo stesso compositore, sconta "una tinta, un colore troppo uniforme", così come la mancanza di azione: tanto che per infondere un po' di dinamismo vi introdusse qualche diversivo, come l'irruzione in Consiglio di Lucrezia coi figli, o la barcarola dei gondolieri. Ma è pur vero che con il vecchio, esausto doge Foscari prosegue la sua galleria di splendide figure baritonali.

Un ruolo ostico, nondimeno ambito

Non è un caso, infatti, che molti grandi interpreti verdiani - vedi Picchi, Guelfi, Bruson, Cappuccilli, Nucci che qui cantò nel 2009 - si sono prima o poi sentiti in dovere di affrontarlo.

Ora è la volta di Vladimir Stoyanov, che offre in tal modo un'ulteriore prova della sua affinità con tale repertorio. La voce è ampia, distesa, ricca di sfumature, ben appoggiata; e piena di intense vibrazioni, ed avvincente pur nella sua relativa chiarezza timbrica. Lo scavo psicologico assai approfondito, sì che il suo Foscari si staglia netto e statuario, nella desolante impotenza e nel paterno soffrire.


Con la tenorile cabaletta “Odio solo, ed odio atroce”, scattante ed infuocata, Verdi poi ci dà un qualche preannunzio della futura “Pira” del Trovatore: affidata alla di Stefan Pop, riesce ardente e ben rifinita; ma tutta la sua parte – che Verdi spinge molto in alto – viene offerta in dettaglio, e arricchita da facilità di squillo, spontaneità di fraseggio e vaghezza timbrica. Qualche riserva nasce per la Lucrezia di Maria Katzarava: bello il centro, morbido e pieno, ma faticosi gli acuti e poco consistente il registro inferiore.

Interpretativamente, si avverte un forte impegno generale, ma i risultati non arrivano tutti ad effetto. Idem per il Loredano di Giacomo Prestia, vocalmente poco energico e sbozzato grossolanamente nel personaggio. Parti di contorno ben distribuite: Barbarigo tocca a Francesco Marsiglia, la Pisana a Erica Wenmeng Gu, il Fante a Vasyl Solodokyy, il Servo a Gianni de Angelis.

Arrivabeni, l'esordio parmense

Pur potendosi considerare a buon diritto direttore verdiano di razza - una quindicina di titoli nel suo carniere, tutti importanti - Paolo Arrivabeni dirige per la prima volta a Parma. Dritto al Festival Verdi, però. Non pare tuttavia che questa partitura faccia scattare in lui, per così dire, la scintilla. La coerenza drammatica c'è, la rifinitura dei particolari anche, ma manca una maggior dose di vitalità in una lettura che non va al di là di una buona prova professionale. L'Orchestra è la brava Filarmonica Toscanini, l'ottimo coro quello del Regio preparato da Martino Faggioni.

Il regista Leo Muscato elabora uno spettacolo senz'altro degno di nota: concentrato, incalzante, si focalizza senza sbandamenti direttamente sulla recitazione dei personaggi, e si concede un solo lampo di follia nella festa davanti Palazzo Ducale. Sembra la chiave giusta per illuminare questa tragedia byroniana. Le scene di Andrea Belli racchiudono i personaggi in una cornice semicircolare, rotonda anche la prigione – bellissima – evocata con un cerchio luminoso e lunghe catene appese. Magnifici i costumi di Silvia Aymonino, fascinosi i fasci di luce di Alessandro Verrazzi.